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Miniere e corruzione in Uganda
L’ONG britannica Global Witness denuncia un sistema di tangenti nel settore minerario ugandese che arriva fino ai piani alti del potere a Kampala. Tante le violazioni nell’attribuzione delle licenze di sfruttamento e nel rispetto delle aree naturali protette. A farne le spese come sempre è la popolazione, tradita e sfruttata in vari modi.
di Marco Simoncelli
9 giugno 2017
Il 5 giugno scorso l’ong britannica Global Witness ha pubblicato i risultati di un’inchiesta sul settore minerario ugandese. La cattiva amministrazione e la corruzione “sistematica” che pervadono l’ente incaricato della gestione, la Direzione degli studi geologici e delle miniere ugandese (Dgsm), stanno portando innumerevoli vantaggi a politici disonesti e investitori stranieri, i quali approfittano di fondi che dovrebbero essere destinati alla popolazione, mettendo a rischio l’economia e l’ambiente.
L’investigazione è durata 18 mesi e ha disegnato un quadro preoccupante in un settore promettente che ha iniziato a svilupparsi dopo essere rimasto a lungo trascurato perché oscurato dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. L’industria mineraria potrebbe creare numerosi posti di lavoro e supportare l’economia e lo sviluppo del paese grazie agli introiti fiscali derivanti, ma tutto è reso vano dal malaffare.
Un deputato ha ottenuto un permesso di sfruttamento minerario nel cuore di una riserva naturale protetta, un altro è stato pagato per negoziare a basso costo lo spostamento di interi villaggi in territori che fanno gola a un’impresa specializzata in fosfati. E ancora, tonnellate di minerali di ferro nascosti alle autorità per evitare di pagare le tasse. Questi non sono che alcuni esempi citati dagli investigatori di Global Witness che si riferisce a questi potenti chiamandoli “big men”, inserendo fra loro anche membri della famiglia del presidente Museveni, il quale negli ultimi anni è divenuto uno dei più accaniti sponsor dello sviluppo minerario in Uganda.
Un “sistema ombra”
Al centro di questa rete di corruzione, o “shadow system” (sistema ombra) come lo chiama il rapporto, c’è sempre la Dgsm, un organismo controllato dal ministero delle Miniere, il cui compito dovrebbe essere quello di rilasciare le concessioni minerarie perseguendo l’obiettivo del massimo beneficio per il popolo ugandese, ma che invece è alla mercé della brama di investitori e potenti politici.
“Praticamente è impossibile ottenere licenze dalla Dgsm senza fornire dei ‘contributi’ ad alcuni dei suoi responsabili e l’indagine mostra che molti dirigenti sono caldamente invitati a privilegiare le compagnie vicine all’élite politica” si legge nel rapporto. Dagli ufficiali di basso rango fino ai responsabili politici, tutti coloro che sono coinvolti nel sistema minerario sono pronti a violare le regole: imprese, avvocati, parlamentari e perfino una pop-star, sarebbero nel giro.
Anche imprese poco qualificate possono ottenere licenze grazie alla rete di conoscenze, mentre la normativa in vigore viene sistematicamente violata e le procedure aggirate. Il mancato versamento di tasse, affitti e royalties, priva le casse dello Stato di milioni dollari ogni anno che potrebbero essere utilizzati per la costruzione di scuole, ospedali e strade, di cui il paese ha disperato bisogno.
Danneggiati ambiente e persone
Ma la popolazione subisce i danni prodotti da questo sistema anche in altri modi. L’ong denuncia infatti il problema dell’accaparramento di terre, portando esempi di popolazioni obbligate a lasciare le zone di sfruttamento e ricompensate con cifre irrisorie che non permettono di riaprire un’attività altrove, come avvenuto alla comunità di Tororo, nell’est del paese, all’interno del Sukulu Phosphate Project.
Gli investigatori manifestano preoccupazione anche per le condizioni di lavoro dei minatori che dovrebbero beneficiare di protezioni di gran lunga migliori rispetto a quelle rilevate nelle numerose miniere artigianali. I pericoli legati alla salute per l’esposizione a prodotti chimici sono elevati: Global Witness ha registrato molte morti bianche e trovato minori che lavoravano con il mercurio a mani nude.
Si aggiunge inoltre la questione ambientale. Secondo il catasto minerario ugandese la Dgsm ha rilasciato licenze in 25 delle 28 aree naturali protette della regione. I casi più eclatanti sono quelli della foresta di Bwindi e del parco del Rwenzori che fanno parte dell’ecosistema del Virunga e ospitano alcuni degli ultimi gruppi di gorilla di montagna. I documenti raccolti dall’indagine mostrano che almeno 20 tra compagnie e privati, hanno iniziato attività all’interno o al confine di queste riserve, nonostante la minaccia che rappresentano per l’ecosistema. Global Witness ha raccolto le dichiarazioni di una parlamentare che affermava d’essere in grado di far condurre attività minerarie a Bwindi perché la ministra del Turismo, Maria Mutagamba, “è una sua buona amica”.
L’Ong britannica ha poi dato risalto al traffico illegale di minerali provenienti dalle vicine zone di conflitto della Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan. Una pratica consolidata e ampiamente documentata, causa di ampi spostamenti forzati delle popolazioni. In particolare punta il dito sulla raffineria d’oro AGR che ha iniziato le sue attività nel paese da poco più di un anno. Si sospetta che i suoi dirigenti e il governo chiudano gli occhi sulla provenienza dell’oro che poi esporta.
La Camera ugandese delle Miniere e del Petrolio, che raggruppa le imprese del settore, si riunirà per studiare il rapporto e il presidente Elly Karuhanga ha accolto la pubblicazione con sospetto dicendo al quotidiano francese Le Monde: “Sapete, quando un rapporto del genere viene da un paese straniero, ci possono essere degli interessi dietro….”. Un membro del parlamento ha invece ammesso che le informazioni sono “probabilmente esatte” e che la risposta dovrà avvenire ad alto livello attraverso “la formazione di una commissione d’inchiesta ad hoc che analizzi i casi rivelati”.
Staremo a vedere, ma la presenza di molti membri dell’élite politica all’interno di questi dossier rischia davvero di frenare la richiesta di trasparenza e la riforma delle leggi minerarie, contenuta in una lettera redatta dai gruppi della società civile assieme a molte ong, ma rimasta finora inascoltata.