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ARTICOLI

L'acqua e le numerose sfumature

del cambiamento

Il giallo, in Uganda,

è il colore dell’acqua

 

di Alberto Rossetti

www.albertorossetti.com

 

8 settembre 2014

Il giallo, in Uganda, è il colore dell'acqua. Gialle, infatti, sono le taniche che le persone utilizzano per trasportare l’acqua dal pozzo o dal fiume a casa. Quando cammini per le strade dell’Uganda non puoi non accorgerti del giallo. A Kampala, la capitale, è un po’ diverso. Molte più case hanno l’acqua corrente e sono meno le persone che girano con le taniche. Ma appena fuori dalla città, lungo le strade, la gente cammina portando l’acqua nelle taniche sulla testa, sulle bici, sui boda-boda (motociclette che funzionano come dei taxi), o più semplicemente in mano. Donne, bambini, uomini…tutti sembrano trasportare l’acqua qui. Se vuoi sapere dove si trova il pozzo più vicino ti basta seguire le taniche gialle. Quando aumentano significa che l’acqua è vicina, che non manca molto, che sei quasi arrivato. Alcune persone sembrano metterci relativamente poco a recuperare l’acqua necessaria per vivere ma per altre la strada sembra tanta, molta, forse troppa. Ho in mente ragazzi spingere le loro biciclette cariche di almeno 60 lt di acqua su per le salite, con i piedi scalzi, con la testa bassa. O donne che camminano con la tanica sulla testa. O ancora bambini piccoli che trasportano piccole taniche da 5 litri correndo lungo le strade.

Di fronte a questo rituale che si ripete più volte al giorno, di villaggio in villaggio, di casa in casa, i miei pensieri si perdono di continuo, alla ricerca del punto migliore da cui poter partire per avere una lettura di tutto questo. Ciò che più mi colpisce è la naturalità con cui questo gesto viene compiuto. Un ragazzo, che lavora come guida in un albergo, mi ha detto che la sua famiglia prende l’acqua al fiume tutti i giorni a una ventina di minuti da casa. Quando sono nella stagione delle piogge la fanno bollire prima di berla, altrimenti la utilizzano e basta. Cerco di scorgere sul suo volto qualche espressione di stanchezza o di desiderio di cambiamento, ma non mi sembra ci sia nulla che possa far pensare a tutto questo. Per lui, per loro, questa è la normalità a cui sono abituati.

Penso alle nostre case, all’acqua che scorre dai rubinetti, che sgorga dalle docce…troppo facile, però, dire che noi siamo più fortunati. La via da seguire è più complessa, o almeno questa è la mia impressione. Per noi questa è la normalità a cui siamo abituati fin da piccoli: aprire un rubinetto e avere l’acqua corrente a disposizione. Una volta, un paziente adottato, mi disse: “se non hai mai avuto una madre e un padre non sai cosa sia il concetto di famiglia. Per te, la normalità, è un orfanotrofio gestito dalle suore”. Ringrazio ancora oggi quel paziente per avermi aiutato a comprendere quanto la normalità sia un concetto piuttosto insidioso. Questo è per dire che se la tua normalità è andare a prendere l’acqua al pozzo tutti i giorni, impiegando tutti i mezzi a tua disposizione, non si può dire che tu sia più sfortunato di altri. Bisogna però dire che in Uganda, a differenza di altri posti, l’acqua non manca, c’è molto verde e la pioggia viene spesso a farti compagnia durante il giorno.

Per noi sarebbe impossibile andare a prendere l’acqua tutti i giorni al pozzo. Ci dovremmo alzare molto prima la mattina, andare al punto d’acqua più vicino, riempire le taniche, tornare a casa, lavarci e prepararci per andare a lavoro. Tornati a casa, la sera, dovremmo cucinare utilizzando l’acqua ancora a nostra disposizione oppure andarne a prendere altra. Essendo la maggior parte di noi dotati di macchina faremmo però probabilmente un grosso carico di acqua una volta alla settimana per andare il meno possibile alla fontana. Anche perché da noi, se per caso a qualcuno venisse in mente di farsi aiutare dai propri figli minorenni, il rischio della denuncia per sfruttamento, maltrattamento o abbandono di minori sarebbe molto più che una possibilità. Insomma, come si sarà inteso, questa storia di andare a prendere l’acqua alle fontane nelle nostre città non si regge in piedi.

Per noi, per come è strutturata la nostra giornata, la nostra famiglia e la nostra società è impensabile non avere l’acqua corrente in casa. Ma, allora, la domanda che mi risuona nella mente è: come facciamo ad essere così convinti che avere l’acqua direttamente in casa sia la cosa più giusta anche per queste persone ugandesi? Cambiare le abitudini delle persone non è così semplice e bisogna essere consapevoli che un singolo cambiamento può avere delle conseguenze inaspettate, una sorta di effetto domino che non sempre porta effetti positivi alle persone. Così come noi faremmo fatica ad immaginarci un mondo senza acqua corrente, forse, anche queste persone avrebbero delle difficoltà ad immaginare di vivere con l’acqua direttamente in casa. Ad esempio come impiegherebbero il tempo che prima impiegavano per andare a prendere l’acqua? E le relazioni che costruivano lungo la strada e al pozzo verranno sostituite in un altro modo oppure andranno perse? Si correrebbe il rischio di restare più chiusi all'interno delle proprie case? Sono domande a cui non ho risposta, probabilmente molto provocatorie e criticabili. Ma è un modo per dire che prima di vedere tutte queste taniche gialle ero convinto che il nostro fosse il modo giusto di vivere, forse l’unico, mentre adesso non sono più convinto di questo. 

Il nostro è un modo di vivere, così come lo è il loro ed entrambi hanno alcuni aspetti positivi ed altri negativi. Tutto questo mi aiuta a dire che il cambiamento non deve mai avvenire dall’esterno ma sempre dall’interno. Esportare un comportamento, un modello o un protocollo è pericolosissimo perché provoca effetti a cui nessuno è preparato. Diverso, invece, è quando i cambiamenti avvengono partendo dalle persone, come effetto di una qualche ricerca, di un ragionamento, di una riflessione. Non possiamo pensare di dire alle persone “questo è il modo giusto, dovete fare così”; al contrario, possiamo avvicinarci e sostenerle nella ricerca del loro modo giusto, che potrebbe anche essere distante anni luce dal nostro. Tutto questo richiede certamente più tempo e in un mondo sempre più globalizzato diventa difficile pensare che le persone possano vivere in modo tanto diverso tra loro, ma non credo ci siano tante altre possibilità. Solamente abbandonando il proprio punto di osservazione ci si può accorgere delle numerose sfumature presenti nella vita delle persone.

DEBORAH RICCIU

ESPANDERE ORIZZONTI

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