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Malaria:

muore ancora un bambino al minuto

Nel Sudest asiatico, in America Latina e nell’Africa subsahariana sono tre gli strumenti per combattere l’infezione: zanzariere, diagnosi precoce e personale sanitario preparato... ma la strage di piccole vittime non si arresta

 

di Emanuela Zuccalà

24 aprile 2015

 

www.iodonna.it

Caroline ha 28 anni e abita a Nakasete, un villaggio dell’Uganda centrale. Dei suoi quattro figli, uno se l’è portato via la malaria. Quando la minore, Sarah, a un anno e mezzo continuava ad avere la febbre alta, la donna è corsa al presidio sanitario più vicino, l’ha fatta curare e poi s’è messa in coda, tornando a casa con una zanzariera impregnata di insetticida. E il semplice gesto è bastato perché la bimba non s’ammalasse più.

 

Nelle zone dove la malaria è endemica, concentrate nel Sudest asiatico, in America Latina e soprattutto nell’Africa subsahariana, sono tre gli strumenti per combattere l’infezione: zanzariere, test per la diagnosi precoce, personale sanitario preparato a riconoscere i sintomi e a somministrare la giusta terapia. Eppure, ancora oggi, nel mondo muore un bambino al minuto per questo male causato dal parassita plasmodium falciparum, trasmesso dalle punture di zanzara.

 

Il 25 aprile sarà la Giornata mondiale contro la malaria e, sebbene i decessi risultino quasi dimezzati dal 2000 a oggi, le ultime cifre dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) impongono di non abbassare la guardia: nel 2013 sono stati 198 milioni i nuovi casi e 584mila i decessi, al 90% nel continente africano. Per fare un paragone con altre due epidemie globali: nel 2012, l’Aids ha ucciso 1,6 milioni di persone e i nuovi casi di Hiv sono stati 2,3 milioni, mentre di tubercolosi nel 2013 sono morti 1,5 milioni, con 480mila nuove diagnosi. Tra le vittime della malaria, il 78% sono bambini. «I più vulnerabili sono proprio i minori di 5 anni e le donne incinte», spiega Paola Magni, responsabile dei programmi della sezione italiana di Amref Health Africa, la maggiore organizzazione sanitaria non profit del continente, con medici e progetti di formazione per operatori di comunità nelle zone rurali remote. «Quando la diagnosi è precoce e il trattamento immediato, la malattia si cura -chiarisce Magni, – ma è proprio questo il problema in molte aree dell’Africa subsahariana: l’ospedale è lontano e si rischia di arrivare troppo tardi».

 

Sul fronte della terapia, però, i progressi sono stati notevoli: «Negli anni ’90, nelle zone endemiche, appena arrivava un paziente con la febbre lo si trattava con farmaci antimalarici prima ancora di verificare la sua malattia» racconta Stella Egidi, responsabile medico di Medici Senza Frontiere. «Questo ha provocato una resistenza farmacologica che ha reso inefficaci le cure. Ma oggi la nuova terapia combinata, detta Act, funziona bene: grazie alla battaglia che abbiamo condotto con altre organizzazioni, nel 2010 la Act è entrata nelle linee guida dell’Oms ed è ormai diffusa in tutti Paesi colpiti». Quanto al vaccino, invece, l’attesa continua: «Il parassita responsabile della malaria cambia continuamente volto -precisa Egidi – ed è difficile trovare un vaccino che li riconosca tutti per combatterli. Gli studi sono in corso, ma finora nessun risultato rilevante».

 

Qualche anno fa era stato Bill Gates a sintetizzare il problema, dichiarando: «S’investe di più in farmaci contro la calvizie che contro la malaria». E Paola Magni di Amref concorda: «È sulla prevenzione che si gioca la lotta alla malaria ma, poiché la malattia riguarda il Sud del mondo, l’interesse a sviluppare un vaccino è minore». Anche i fondi languono: l’Oms ha rilevato che nel 2013 sono stati stanziati 2,7 miliardi di dollari, quasi la metà della cifra necessaria. E il Fondo Globale contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria continua a lavorare in affanno per via delle promesse di finanziamenti che poi molti Stati (Italia compresa) disattendono.

 

«Un altro elemento cruciale, come abbiamo visto anche nel caso di ebola, è la debolezza dei sistemi sanitari di molti Stati africani -aggiunge Magni -. «La malaria resta dunque una profonda ingiustizia, umana e sociale: perché è prevenibile e curabile, ma ci vuole prima di tutto l’impegno degli stessi governi africani a concentrare fondi e capacità per rendere la loro sanità più equa». Nell’ambito di una strategia per una migliore sanità nel continente che porti autentico sviluppo, Amref Health Africa ha appena lanciato la campagna “Sano è Salvo”. Ricordando che in Africa l’aspettativa media di vita resta di 56 anni, contro i 70 del mondo. E la mortalità infantile è doppia rispetto al resto del globo.

DEBORAH RICCIU

ESPANDERE ORIZZONTI

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