top of page
DIARY

DIARY OF A ENTERPRISE

ALMOST IMPOSSIBLE

of Roberto Schirru

Lunedì 10 Agosto 2015

 

Dopo una notte infernale riesco ad alzarmi senza febbre. La farmacia portata dalla Spagna da Victoria mi ha aiutato. Passiamo un attimo alla scuola dove il buon Tony è già in attesa di disposizioni: oggi costruisce un lavatoio in muratura per Immaculate, simile a quelli che si costruivano in Europa 50 anni fa, in graniglia. Qui lo facciamo con i soliti mattoni rossi rivestiti di una pastina di cemento. L´altezza di circa 80 cm le permetterà di lavare i vestiti per i bambini con meno sforzo. Gli traccio tutto e lo lascio al suo lavoro. Da una settimana Tony lavora per questo progetto. I suoi 8 euro al giorno per 10 ore di lavoro se li sta guadagnando tutti. Adesso è uno dei muratori più pagati della zona, dato che alcuni suo colleghi che lavorano in un cantiere poco distante dal nostro prendono 6,5 euro per le stesse ore e per lavori ben più faticosi.

Scendiamo sulla strada principale Bussabaala Road e in circa 50 minuti siamo nella Stanbic Bank per aprire, finalmente, il conto corrente. Passiamo quasi 2 ore di fronte all´impiegata, che tra le altre cose vuole sapere, sempre a i fini dell´apertura, che sport pratico! Alle 12.00 siamo di ritorno alla scuola e dopo il solito posho con crema di arachidi e straccetti di cavolfiore bollito, incomincio a lavorare al secondo soppalco della seconda stanza del dormitorio. Mi aiuta Bonniface, come al solito. Incominciamo anche la seconda scala di accesso che tuttavia completeremo domani.

Victoria, grazie ad una ricezione inaspettatamente forte, è riuscita a caricare molti file sul blog. La giornata finisce quando cala il sole. A tratti ci stiamo abituando a questa situazione, soprattutto a questa spaventosa povertà. I bambini della scuola e del vicinato vestiti di stracci e senza scarpe o con solo una infradito ci appaiono “normali”, così come il fatto che passino le mattinate (ricordo che adesso la scuola è chiusa) gironzolando, giocando ogni tanto con un pallone, mentre le bambine stanno semplicemente sedute tra loro. Solo le più piccole le si vede giocare con delle piccole pietre o intonare qualche filastrocca. La buca della sabbia è sempre vuota. Nessuno ha insegnato loro come giocare. Qui ai bambini viene insegnato poco e a questi orfani quasi nulla. Alcuni degli orfani sono stati spediti da Bonniface presso zii o zie e nella scuola ne sono rimasti solo una ventina. Qui per orfano si intende anche un bambino che ha solo un genitore, di solito la madre, dato che il padre è scomparso subito dopo il concepimento, oppure è morto di Aids. E a dire la verità considerare orfani anche i bimbi che hanno solo un genitore non è molto scorretto, dato che la povertà estrema non consente ad una madre di dar da mangiare a tutti i figli che ha messo al mondo. Isha, ad esempio, ha la madre (che conosciamo), ma lei non la può mantenere dato che deve pensare agli altri due figli e a se stessa. Le abbiamo affidato il compito di lavarci i vestiti, 30 euro per tutto il mese, una fortuna per lei.  Qui, come anche in India, i bambini non vengono mai abbracciati, non vengono baciati, non vengono mai accarezzati. I grandi non ci giocano, in parte perché non hanno tempo, in parte perché non fa parte della loro cultura. A noi sembrano tanto espansivi perché siamo i pochi che li accarezzano. Per loro queste sono sensazioni assolutamente nuove e reagiscono quindi in maniera spropositata.

 

 

Martedì 11 Agosto 2015

 

Si inizia in maniera radiosa: alle 8.30 abbiamo già segato il primo gradino della seconda scala per la seconda stanza del dormitorio, Tony sta dando la pastina di cemento al lavatoio, Victoria ha già caricato altre foto su internet (quasi 1 ora per ogni foto!) ed è andata a comprare un padella per fare una tortilla spagnola. Già alle 10.00 la seconda scala è completata e così l’intero secondo soppalco. Immediatamente passiamo a concludere i lavori nell´ufficio di Bonniface, ovvero inserire delle tavole per creare degli scaffali. Adesso sembra un ufficio, magari un poco grezzo, dato che le tavole non sono piallate, ma sicuramente non si vedranno più, spero, quaderni, registri, questionari scolastici in terra o mischiati a piatti, tazze, pezzi di scarpe, banane ecc.  A mezzogiorno gustiamo la tortilla preparata da Victoria: eccezionale! Mi mostra la foto di una padella di un metro e mezzo di diametro che viene utilizzata ogni 8 di agosto durante una festa paesana ad Asneve, un piccolo pueblo in Galizia. Sono forti gli Spagnoli!

Rimanendo in tema mi concedo, oggi per la prima volta, di fare una siesta di 15 minuti prima di ritornare alla scuola e continuare insieme a Victoria a tagliare altre tavole per realizzare i letti a castello. Il problema principale (a parte l´irregolarità manifesta delle tavole) risiede nel fatto che questo legno è lercio, stracarico di terra, funghi, muffe e il solo tagliarlo mi fa paura. Ho la migliore maschera antipolvere della 3M ma chissà se qualche virus aereo, contenuto in questo sporco non vada ad annidarsi nei miei polmoni per fulminarmi magari tra qualche anno… Chiedo ad Angela e Immaculate di lavare le tavole. Consegno loro 10.000 scellini (3 euro) per comprare bidoni d’acqua a volontà e pulire tutto. Alla fin fine con queste tavole ci dobbiamo costruire i letti per i bambini e non posso permettere che dormano tra questa sporcizia. Arrivano per vedere i vari lavori due falegnami della zona da me contattati alcuni giorni fa. Gli chiedo se sanno utilizzare la sega circolare e ovviamente mi dicono di sì, staremo a vedere. Il lavoro da fare con il legno è ancora tantissimo. A parte la costruzione dei 4 nuovi ambienti (le 3 aule e la cucina, oltre al miglioramento delle 4 aule esistenti) occorre costruire 6 letti a castello e 2 normali, 10 porte, 8 finestre e circa 17 banchi di scuola con relativa panca. Se dovessi fare io tutto questo chi farebbe il resto? Ma entrambi sono impegnati fino a venerdì. Rimaniamo d`accordo che per venerdì troveranno già alcuni letti, panche e porte fatte, in modo che altro non debbano fare che copiare. Speriamo bene, ma sono pessimista.

I lavori terminano alle 19.00: il cantiere sembra una segheria canadese. Il resto della tortilla spagnola, insieme a del riso con verdure, conclude la giornata, accompagnata dalla visita di due vicini di casa originari del Ruanda che ci raccontano la loro storia.  Mi attenderà una notte insonne, passata con dolori di schiena e dubbi sul riuscire o meno a finire tutto in tempo. 

 

 

Mercoledì 12 Agosto 2015

 

Black out, non si può usare la sega elettrica per tagliare le tavole fino alle 11.49. Il fatto di non aver installato un impianto fotovoltaico, come invece previsto, è legato al fatto che per usare la sega circolare occorrono almeno 2.000 Watt di potenza mentre con un impianto solare ad isola, dimensionato per circa 16 lampadine, una radio e un PC, ne avrei avuto al massimo 600. Potenza legata inoltre alla capacità d`accumulo delle batterie, che sarebbe stata bassa dato che le batterie costano. Avrei giusto potuto tagliare tavole per 2 ore a giorno, mentre passo almeno 4 ore con la sega circolare in funzione. Senza la potenza della rete non sarei in grado di fare i lavori dato che tutte le tavole devono essere non solo tagliate ma anche rifilate e con una sega a mano cadremo in tempistiche da era preindustriale. Inoltre non mi fido, non mi fido nel lasciare moduli fotovoltaici sul tetto, batterie, inverter ecc. Lo stesso Bonniface potrebbe venderseli per, magari, comprare riso o fagioli, se un mese non riuscisse a riceve soldi da tutti gli alunni paganti e non sapesse come fare. Inoltre un impianto fotovoltaico, per quanto semplice, anche in corrente continua, ha bisogno di una certa manutenzione e sono estremamente scettico che le persone che si addensano attorno alla scuola siano in grado di farlo. L´inglese che qui si parla (insegnanti e Bonniface compreso) è scarso e spesso mi accorgo che non mi capiscono al 100% e occorre ripetere le cose svariate volte. Dovrei fargli un corso per fotovoltaico per fargli capire come utilizzare e gestire un impianto, ma non ci sono né le premesse tecniche, né il tempo. Per adesso sarà l`acqua del Lago Vittoria, attraverso la diga nei pressi di Jinja, a fornire la forza motrice per questa scuola-orfanotrofio.

Approfitto del black out per riposare, sono stanchissimo. Non si tratta solo del lavoro, peraltro agevolato dal fatto che mi ritrovo uno stuolo di bambini e di aiutanti attorno. E’ il dover programmare tutto, fare continuamente i conti con il poco tempo a disposizione. Sto sdraiato sul letto ma i pensieri si accavallano l´uno sopra l´altro: ancora non abbiamo individuato il sito per il pollaio. Come faremo un lavabo da cucina grande a sufficienza per pulire le grandi pentole? In mattoni, in mattoni e legno, dove faccio passare il tubo di scarico, dentro o fuori la proprietà della scuola, come faccio le scalette per i letti a castello, in legno (pesanti e ingombranti) o in ferro (leggere ma costose ed inquinanti, dato che il ferro occorre fonderlo…)? E ancora: saranno questi due falegnami bravi abbastanza da fare senza aiuto i banchi di scuola, le porte e le finestre con tolleranze occidentali e non africane?

Victoria, aiutata dalla moglie di Bonniface, prepara un riso con verdure. Alle 14.00 ritorna l`energia elettrica. Taglio tutte le tavole per altri 3 letti a castello e monto il primo, aiutato da 4 bambini. Lavorare con i bambini è meraviglioso! Sono attenti, sempre sul pezzo, ti passano ogni cosa che ti serve, ti divertono e si divertono un mondo: “another nail please” (un altro chiodo per favore). Dopo quasi un´ora il primo letto è completato. Ne devo fare ancora 8. Forse entro giovedì riesco a completare tutto, posto che non arrivino prima i falegnami.

Bonniface mi chiama e mi presenta un signore che scava pozzi per l´acqua. Nell´instante in cui gli sto stringendo la mano, Victoria mi porge una tazza di the con dei biscotti: sembra quasi la scena di un film inglese. Tolgo il guanto e non so se prima debba dare la mano al signore o prendere la tazza di the, gentilmente offertami da Victoria. Decido: prima stringo la mano al signore, poi prendo la tazza di the e contemporaneamente presento Victoria. Il gesto piace e forse riesco simpatico al signore dato che ho ruotato il mio cappello dalla parte dove ho cucito una piccola bandiera dell´Uganda. Scava pozzi per trovare l´acqua “come una volta”, ovvero a piccone e pala. Il pozzi che lui scava hanno un diametro di 6 piedi (circa un metro e mezzo) e una profondità, in questa zona, di circa 25-30 metri. Ci impiega circa 15- 20 giorni con due operai. All´interno riveste i pozzi con mattoni rossi. Contrattiamo il prezzo: parte da 5 milioni di scellini (1.478 euro) e io gliene offro 3 milioni (1000 euro). Gli diciamo che questo è il budget imposto dai donatori e che non possiamo permetterci altro. Dopo 10 minuti di tira e molla accetta. Mi invita a vederne uno in costruzione. Scendiamo nella strada principale, prendiamo un boda-boda (la moto 125, che fa da taxi) e dopo 15 minuti di polvere rossa in bocca e negli occhi scopro un pezzo di Medioevo ancora in vita: un pozzo in costruzione con pali di legno e corde per calarsi e in fondo l´acqua. Sono entusiasta. Domattina facciamo il contratto. Anche se non dovessi riuscire a trovare altri 1.000 euro con i donatori, ce li metto io di tasca. L´esperienza di vedere due uomini che per 15 giorni scaveranno un pozzo profondo almeno 30 metri nel cortile della scuola è da non perdere. Ma a parte questo, un simile pozzo, di ampio diametro e rivestito dentro in muratura, dura in eterno e nel caso si insabbiasse, una persona può sempre essere calata, per ripulire il fondo. Il soldi per la pompa elettrica (circa 500 euro), si troveranno. Nell´attesa, una volta che il pozzo sarà fatto, si potrà usare il classico secchio con la carrucola e la corda, appunto come 50 anni fa. So che ci sono moltissimi tipi di pompe a mano, costruibili con pochi tubi in PVC e pochi soldi, tuttavia non c`è il tempo per costruirli.  Per adesso si useranno i secchi.

Ritornato al cantiere continuiamo a lavorare fino alle 20.30, praticamente al buio. Abbiamo fatto moltissimo. Le mensole nell´ufficio di Bonniface sono già stracolme di quaderni e fogli e alcuni insegnanti stanno già usando il piccolo banchetto che gli ho montato. Ma sono soprattutto contento che già stanotte, 4 bambini orfani potranno dormire sul primo letto a castello. Buonanotte bambini. 

 

 

Giovedì 13 Agosto 2015

 

Anche oggi si incomincia molto presto: alle 8.00 sto già tagliano le prime tavole per i letti a castello della seconda stanza. Alle 8.30 arrivano i “trivellatori”. Sono tre uomini di media statura, senza un filo di grasso, sembrano dei triatleti. Le facce sono dure e rudi e mai come questa volta si può mettere in discussione Darwin e “L´origine delle specie”. Ma sono sempre i sorrisi, insieme a questi occhi miti, che ti ricollegano alla straordinaria storia dell`uomo. Gli stringo la mano in maniera vigorosa, ma mi accorgo che la risposta “muscolare” è timida, benché dispongano di una forza mostruosa. Che popolo mite questi Ugandesi, alle volte viene difficile pensare che sotto il dittatore Amin si scannarono a vicenda totalizzando 300.000 morti e poi ancora altri 300.000 con il suo successore, Obote.  Ma siamo qui per trovare l´acqua del lago Vittoria che sta a circa 30 metri sotto in nostri piedi. Non perdono tempo: si mettono a petto nudo e dopo avergli segnato il centro del cerchio del pozzo (Victoria scatta una foto-ricordo del momento) tracciano la circonferenza e incominciano con piccone e pala a scavare. La terra qui non è dura, rimane compatta, la si modella con la punta della pala (qui usano tutti il badile all´inglese), tuttavia la fatica è tanta dato che la terra pesa.  Miro e ammiro i muscoli delle braccia e del tronco di questi uomini: forza pura! Questi uomini mi rimandano alle piantagioni di cotone della Louisiana o della Georgia: fisici eccezionali per lavori incredibili. Mi fanno pensare alle navi dei negrieri, al film “Radici”, a fisici formati e sformati da lavori che credevo non si facessero più manualmente al mondo. Capisco il valore dell´energia che l`odiato petrolio ci regala. E sono contento di essere nato nell´Occidente industrializzato che vive d`invenzioni e dove invece di far lavorare i muscoli si fanno lavorare le macchine, costruite grazie al genio dell’uomo. Solo vivendo esperienze come queste si capisce per davvero lo sconfinato significato di “Civiltà moderna”, in particolare quella tecnologica, spesso sbeffeggiata o scordata da molti intellettuali. Anzi, mi piace dire che “la Civiltà è Tecnologia”, ovvero una infinita serie di invenzioni che poi cambiano i costumi e le menti.

Firmo il contratto, vergato a mano su un foglio di quaderno, in una specie d`inglese infarcito d´errori d´ortografia. Tuttavia tutta l´influenza britannica viene alla luce: Dio benedica gli inglesi. Gli consegno i primi 200.000 scellini (circa 60 euro). Dopo un´ora hanno già scavato quasi 40 cm e alla fine della giornata saranno già scesi di quasi 2 metri. Scatterò delle foto ogni 4 ore, per vedere i progressi. Il pozzo: mi pento di non aver avviato la costruzione il primo giorno: per quasi 10 giorni ero concentrato su altro, benché il pozzo fosse una colonna del progetto. Qui l´acqua viene comprata in bidoni gialli da 15-25 litri e continuamente vedo i bambini della scuola che li trascinano fino al fuoco dove l´instancabile Madame Immaculate cucina. 400 scellini al bidone, pagati ad una signora che ha un serbatoio da 10.000 litri di fronte alla scuola. Anche noi siamo costretti a fare lo stesso. Una pena e una servitù intollerabile. Tutti i lavori di muratura che abbiamo fatto, sono sempre stati fatti senza acqua corrente: una disperazione. Ma ci si abitua a tutto. Speriamo per il giorno 5 settembre, giorno fissato per l´inaugurazione il pozzo sia completato. Lasciati al loro lavoro queste “talpe umane” proseguo con i letti della seconda stanza e varie rifiniture. Bonniface finalmente mi ha consegnato la ricevuta della connessione elettrica che gli chiedevo da settimane. Per almeno una settimana ho pensato che mi avesse fregato intascandosi parte del bonifico, gli unici soldi che non ho speso personalmente. Sono contento. Nel frattempo, visto che nessuno dei due falegnami si presenta, sollecito Bonniface a trovarne di nuovi. Verso le 15.00 arrivano due giovanotti che si introducono come “carpenters”. Uno di loro, Robinson, ha una busta di plastica, la sua cassetta degli attrezzi. Mi permetto di guardarci dentro e scopro un mazzuolo, una squadra spezzata, due sgorbie, un piccolo metro e un martello. La sega la tiene in mano. Questa è tutta la sua attrezzatura. Gli mostro la sega circolare (la vera protagonista di tutto questo lavoro con il legno), gli chiedo se la sa usare e sinceramente mi dice di no. Apprezzo la sua sincerità, è un buon inizio. Gli faccio vedere i letti già fatti e altri lavori. Gli dico che li testerò per due ore e poi deciderò se assumerli o meno. Incominciamo immediatamente e ad un ritmo indiavolato, simile a quello che si vede durante la costruzione degli stand delle fiere, costruiamo 3 letti a castello, fermandoci alle 20.00! Victoria ci ha aiutato tantissimo: in particolare le ho fatto levigare con la moletta tutti gli spigoli della varie assi e travi in legno dei letti in modo che i bimbi non si facciano male in caso di urti. Robinson e Ronald non conoscono molte tecniche di lavoro di falegnameria ma imparano in fretta, “tengono il ritmo” e obbediscono, e questo è quello che più mi interessa. Sono contento, mi stava venendo il magone nel pensare che avrei dovuto costruire da solo tutti i letti, i banchi, le porte e le finestre. Inoltre, per l´uso eccessivo della sega circolare e dal continuo martellare i timpani mi stavano facendo male. Per fortuna mi sono ricordato d`aver una scorta di tappi antirumore che mai come adesso mi vengono utili. A lavoro ultimato gli dico: “you are good workers” (siete dei bravi lavoratori), ma gli comunico che per il momento basta solo Robinson e che potrà ritornare domattina. Ritorno a casa lercio come sempre: il mix di polvere rossa, segatura, sudore e fumo del braciere della scuola mi riduce come un minatore. In Africa per non sporcarsi mentre si lavora e si vive, occorre fare una sola cosa: stare nudi. Ben lo sapevano le culture originarie africane, distrutte dai maledettissimi missionari cristiani e dai mullah musulmani che hanno trasformato questi fieri e straordinari corpi sensuali e fortissimi in straccioni cenciosi e maleodoranti. Per tutto, valgano gli straordinari libri fotografici di Leni Riefenstahl (sì, la regista di Adolf Hitler), che innamoratissima dell´Africa, scattò delle foto memorabili in particolare ai Dinka e ai Nuer, tribù del Sud Sudan, prima che venissero devastate per sempre dal pudore impostogli dai musulmani e dai missionari cristiani e perdessero il loro “Eden”. Ci andò nel 1963, scattando foto di uomini, donne e bambini che vivevano nudi in totale armonia/guerra con la Natura. Pochi anni più tardi, quando ritornò, li ritrovò tutti semivestiti, dato che il governo musulmano di Kartorum gli aveva imposto di “coprire le parti impure” e tutti si vergognavano di mostrare i loro genitali. Mi sa che occorre una crociata laica e anticlericale su scala mondiale...

Ma ritorniamo in Uganda. Qui, in questa Kampala, dove pochissimi possono premettersi il progresso tecnologico, e soprattutto qui a Kibiri, la doccia si fa sempre e solo versandoti l´acqua con una brocca in plastica e il bidone d`acqua a fianco per riempirla. Io la faccio sempre all´aperto in una specie di cubo di mattoni. Non esiste l´acqua corrente, non esiste il phon. Te la puoi fare anche alle 10.00 di sera, tanto la temperatura è sempre mite e non hai mai freddo. Per pipì e cacca c’è una latrina, ovvero un altro cubo di mattoni rossi non intonacati con il pavimento in cemento e un foro al centro tutto incrostato della merda accumulata negli anni. Con la pila, dato che lì non c`è la luce, cerco di vedere “cosa ci sia in fondo al buco”: mi viene in mente una canzone dei Diaframma, una band italiana di New Wave della fine degli anni ´80…

La cena oggi è a base di avocado, banane fritte e burro d´arachidi. 

 

 

Venerdì 14 Agosto 2015

 

Sono in cantiere dalla 9.00, ma Robinson arriva alle 10.00. Già conosco come sono gli africani: all´orario prestabilito devi sempre aggiungere circa un’ora. Arriva anche Tony (il fidatissimo muratore) verso le 11.00. Così è l`Africa. Tuttavia entrambi lavoreranno da matti fino alle 19.30, quindi non posso lamentarmi. Robinson completa le piccole rifiniture degli ultimi letti a castello. Ne costruiamo poi altri due sopra i soppalchi. Per via del fatto che il tetto del dormitorio è in lamiera la temperatura verso le 15.00 è da forno, dato che le lastre sono a vista. Purtroppo, con il budget attuale e il poco tempo non sono possibili interventi mitigatori. Tutti i nuovi tetti li farò in lamiere ondulate, come il 100% delle nuove case africane, e penserò a delle aperture per la ventilazione. Sto pensando di applicare sopra il tetto in lamiera dei rack, delle strutture, in modo da poterci fissare del giunco per diminuire la temperatura e ridurre il rumore infernale della pioggia battente, ma viste le finanze della scuola e il fatto che nessuno del personale sia portato per i lavori manuali, mentre una simile copertura necessita di manutenzioni continue, già so che sarebbero tempo ed energie sprecate.  Mi consolo pensando che di notte non fa caldo e che i bambini non fanno la siesta.  

Dopo 15 giorni di permanenza ancora non hanno interiorizzato che il bidone per la spazzatura è solo per la plastica e non anche per tutto il resto. Ci trovi legno e polvere, terra, cose che potrebbero essere bruciate nel braciere. Ancora ieri Immaculate si stava mettendo a bruciare resti di cibo, legno e plastica (!) proprio nel centro del cortile della scuola, dove giocano i bambini. Con una furiosa calma ho cercato di spiegarle che non solo i fumi ma anche le ceneri sono tossiche e che non è igienico bruciare i rifiuti nel cortile proprio dove giocano i bambini. Tuttavia mi chiedo che cosa succede di tutta la plastica che stiamo accumulando nella scuola non appena saremo partiti. Sicuramente la bruceranno, come fanno tutti gli altri.

Il bisogno fisico di andare e picchiare materialmente Museweni e i suoi 30 ministri, si fa impellente. Prima di partire devo riuscire a scrivere un articolo o farmi fare un´intervista su questo tema da uno dei due giornali del paese. Noi Italiani con la nostra “Terra dei fuochi” sappiamo di cosa si tratta. Con Tony incominciamo anche il lavabo per la cucina, tutto in mattoni rossi rivestito in cemento, due vasche di cui una per lo sgrassaggio e l´altra per il risciacquo.

La mattinata procede spedita: Robinson impara ad usare la sega circolare e questo velocizza di molto il lavoro dato che non sono più costretto a fare tutti i tagli da solo. I tre uomini del pozzo ci danno dentro: alle 17.00 sono già scesi a oltre 4 metri e siamo solo al secondo giorno! Non si vedono più i fisici mostruosi ma solo il ciuffo di terra che dopo ogni manciata di secondi, sbuffa dal buco per ricadere sul monticello che cresce sul suo orlo. Avranno già spalato almeno 4 metri cubi di terra. Ne frattempo mi accorgo che le tavole e quasi tutto il legno comprato con gli ultimi soldi liquidi che mi rimanevano è terminato. Non mi resta che sperare in un bonifico celere da parte della banca, circa 5.000 euro, per fare il secondo ordine, ovvero tutto il legno che occorre per le nuove aule e per la riparazione di quelle vecchie.

La giornata si conclude alle 19.30, con l´80% del lavello della cucina completato e praticamente tutti i letti e i mobili dell´ufficio di Bonniface a posto. Adesso sono ottimista: in 22 giorni dovremmo riuscire a fare tutto e magari a concederci anche 2 giorni di riposo, che so, per andare in qualche foresta ad osservare le scimmie che volano da un albero all´altro. Sì, ce ne sono ancora.

 

 

Sabato 15 Agosto 2015

 

Oggi ennesima visita al sig. Godfrey, a Kampala, per pagare il secondo carico di legname. Il primo è stato pessimo e gli riscrivo nel dettaglio con tanto di disegno come devono essere le tavole. Gli chiedo di piallarle almeno su un lato, quello che poi sarà il lato interno delle aule, dato che non voglio che i bimbi respirino i funghi e le muffe del legno, e in modo da evitare tutta la lunga e costosa pulizia con bidoni e spazzole. Ovviamente questa modifica costa 800 scellini in più a tavola, ma ne vale la pena. Il totale di tutto il legname non andrà a superare i 1.500 euro. Finito con Godfrey, passiamo alla ricerca del compensato per costruire le lavagne. In Uganda, per quello che mi hanno raccontato, anche nei licei “ricchi”, le lavagne sono fatte in compensato verniciato di nero o da una porzione di una parete dell´aula, sempre verniciata di nero. Il primo rivenditore, una ragazza di circa 25 anni, ci spara 80.000 scellini a lastra (120 x 204 cm), ovvero 23,61 euro: più cara che in Italia! Al sentire il prezzo m`infurio dato che in ogni angolo del negozio spuntano dei pacchiani e orribili poster di Gesù e della Madonna su sfondo celeste. E soprattutto in considerazione che fin dal principio ben le avevamo spiegato per cosa ci servivano queste lastre, cioè per i bambini orfani, e che non desideravamo “muzungu prices” (prezzi da bianchi). Ma in tutti i paesi del Terzo Mondo, appunto perché sono paesi del Terzo Mondo, i bambini non valgono molto e malgrado l’“empatia cristiana” qui “il prossimo” è solo di facciata, esattamente come da noi.  Esco fuori dal negozio e le dico, quasi sbraitando, che è una razzista, che fa un simile prezzo solo perché io e Victoria abbiamo la pelle bianca. Al che, immagino mortificata, rilancia: “ 45.000 scellings”: “too late” (troppo tardi) le dico e la mando a quel paese  andando a visitare un altro fornitore. Troviamo le lastre a 44.000 scellini e le compro immediatamente. Bizzarro l´ufficio del proprietario del negozio: un misto tra un pappone cubano e Mike Tyson beato tra un repertorio dei peggiori mobili per ufficio neri, rozzi, pacchiani, alternati da poster di Gesù, Madonne, il re di Buganda (la regione di Kampala) Mutesa VI, il presidente Museweni, nonché il televisore acceso a fianco del pc, con un poliziesco americano tutto sangue, sparatorie e volume altissimo. Immancabile il bigliettino da visita accompagnato dalla frase di rito: “Always ready to serve you Sir” (Signore, sempre pronto a servirla).

Ritorniamo per strada: inquinatissima e terribile. Lo smog è visibile, assaggiabile, mangiabile. Ogni volta che andiamo a Kampala corrisponde forse a fumarsi 2 pacchetti di sigarette durante una tempesta di polvere. Non oso pensare ai valori di polveri sottili in quella strada che passa sopra un ponte costruito dagli inglesi dove sotto scorre una ferrovia che collegava la capitale con Mombasa in Kenya. Binari ormai in disuso suppongo dal 1962, anno dell´indipendenza di quasi tutti i paesi africani. Personalmente non ho visto nessun treno nell´Africa orientale: ricordo una lunghissima ferrovia cha va da Moshi a Dar El Salaam in Tanzania, costruita dai tedeschi, ora abbandonata. Ricordo la mia pena e le risate di alcuni senegalesi quando, arrivato alla stazione di Dakar per prendere un treno per Saint Louis, mi accorgo non solo che l`edificio è abbandonato e pericolante ma che dietro l´edificio non ci sono più neanche i binari. Credo che il grado di civiltà di una nazione non si misuri solo dallo stato di pulizia dei cessi pubblici, ma anche dalla capacità di fare funzionare sistemi complessi come le ferrovie. Noi italiani siamo abbastanza vicini agli africani.

Rientro subito alla scuola, lasciando Victoria e Bonniface nella camera a gas alla ricerca di 14 materassi a buon prezzo. Alle 15.00 arriva Ivan per la cucina economica. Prediamo le ultime misure e ci si mette d`accordo per martedì: costo finale 1.316.000 scellini (389 euro). Prendo gli ultimi accordi per le altalene, il cartello della scuola da mettere sulla strada e altre cose.

La serata passa al buio, dato che la nostra padrona di casa non ha ricaricato il contatore e non c`è luce: cellulari, fotocamere e il pc sono scarichi. Andiamo a letto alle 21.30.

 

 

Domenica 16 Agosto 2015

 

La domenica non si differenzia dagli altri giorni, qui tutti i negozi sono aperti, il via vai di persone, motociclette e minivan Toyota è sempre uguale. Qui la vita, dove tutti guadagnano sotto il limite della sopravvivenza, non ti concede pause: anche la domenica qualcuno potrebbe comprare 1 dei 3 kg di patate che una madre sfatta di 5 figli pone sul ciglio della strada. Il negozio di pentole e profumi potrebbe vendere un secchio di plastica a un´altra madre che non sa più come ricucire con filo di ferro le fenditure del vecchio, ecc. Abdul, il venditore di ferramenta e materiali edili, potrebbe forse riuscire a vendere 2 sacchi di cemento e magari anche delle tavole al padre di famiglia che approfitta della domenica per costruirsi un pezzo di casa. Come da noi, d`altra parte. Ma qui non si tiene aperto per “soddisfare il cliente” o “intercettare una fascia di persone che hanno tempo solo il fine settimana”. Qui si tiene aperto per disperazione, per portare a casa qualsiasi cifra, a qualsiasi ora, in qualsiasi giorno, per quanto risicata possa essere. E si tiene aperto perché non esistono altre dimensioni di vita, non esiste il concetto di “svago”, di vacanza, se non giusto per le “importanti” partite di calcio, le visite ai parenti nel villaggio lasciato anni prima per inurbarsi, i trasferimenti per i funerali e i matrimoni. Quello che si leggeva sui manuali di storia sociale del Medioevo, qui lo si vede tutti i giorni: uno nasce e muore dentro il bugigattolo del suo negozietto e gli spostamenti non superano l´andata a Kampala sporadica e per estrema necessità. E d´altra parte che cosa si farebbe a casa se non ci fosse il lavoro? Moltissime case non hanno corrente elettrica, quindi nessun televisore. Inutile parlare di libri, dato che molti non sanno neanche leggere e i giornali qui si usano solo per avvolgere i pezzi di cassawa (una specie di tubero) fritto o per pulirsi il culo. Una dimensione d`esistenza senza letteratura, senza arte, senza la concezione e percezione della storia della propria nazione e di quella del mondo. Nessuna percezione della geografia, dell`universo, del tempo. Dire “1000 anni fa”, non ha molto senso qui, non si riesce a coglierne la dimensione. Non sanno neanche cosa e dove siano le piramidi.  È questo, immagino tristemente, vale purtroppo per la stragrande maggioranza degli ugandesi. Penso con tristezza che gli stessi insegnanti che gravitano attorno alla scuola siano immersi più o meno in queste bassezze. Giusto gli adolescenti e i giovani riescono a trovare qualche soldino e recarsi nei “riverside”, degli spazi con un poco di prato all´inglese attorno a delle piccole spiagge che alle volte il lago regala. Qui si balla sempre e solo l´hip hop africano (non si sente nessun altro tipo di musica), si socializza, si mangia pop corn e ci si distrae.

Tony arriva nel cortile della scuola alle 10.00 e insieme avviamo la costruzione del lavello in cemento con due vasche per lavare le stoviglie in cucina (avendo sempre in testa la schiena di Madame Immaculate curva fino a terra per fare qualsiasi cosa).

Verso le 12.00 intervistiamo il padre dei nostri vicini ruandesi, Phoebe ed Eric (sorella e fratello di 20 anni). E’ un uomo interessante che incarna forse al meglio le contraddizioni e le speranze dell´Africa. Ci racconta nel dettaglio della guerra tra Utu e Tutzi ed è duro sentirsi dire che quest`odio fu generato dai belgi. Ci parla del presidente Museweni, “da troppo tempo in carica”. Gli faccio due calcoli a voce alta e gli dico che suppongo che lui lo abbia già votato almeno 4 volte. Mentre conferma la mia supposizione scoppia la risata dei suoi figli e di sua moglie che ascoltano l´intervista. Sembra di sentire l´Italiano piccolo piccolo che negli anni ´80 criticava Andreotti ma votava sempre e solo la DC. Gli chiedo di che colore abbia la pelle Gesù dato che anche qui troneggiano i soliti poster religiosi. Sorride, non sa rispondermi. Gli chiedo ancora se non si senta a disagio nel credere in una religione importata nemmeno 200 anni fa da bianchi colonizzatori che hanno devastato il suo paese. Mi risponde che Dio è Dio, a prescindere dal colore. Gli chiedo allora perché abbandonare la loro religione originaria, lo sciamano, per confidare nei preti cristiani (lui è un protestante). Mi risponde che quando stava male e andava nella capanna dello sciamano tutto era sempre al buio, lo sciamano si metteva ad urlare, quasi gli faceva paura, non capiva che cosa stesse facendo e soprattutto gli diceva di non prendere le medicine o di non andare all`ospedale. Ecco, l´antropologia delle religioni è una scienza esatta: si pensa a Dio quando si è infermi e malati e il cristianesimo importato in Africa aveva dalla sua la scienza medica e cibo da offrire in cambio del cambio di credenze. E che cosa è la religione se non il basilare e disperato tentativo di riottenere la salute persa? Chi sta bene in salute non prega, balla.

Dopo l´intervista i figli ci invitano ad uno di questi riverside a fianco all´aeroporto di Entebbe. La distanza è di soli 30 km, ma ci impieghiamo circa 3 ore e mezza per arrivarci per via di un traffico mostruoso sulla Entebbe Road, la strada più famosa di tutta l´Uganda, perennemente intasata. Il riverside è allegro: quando arriviamo vediamo sulla destra, in un angolo dell´aeroporto adibito a sfasciacarrozze-aviatorio, un Loocked Tristar, un aviogetto di linea degli anni ´80, che viene tagliato a pezzi a colpi di martello e spranghe, con gli uomini appoggiati ai brandelli della fusoliera su scale fatte di grezzi pali di eucaliptus, mentre strappano pezzi di alluminio che serviranno poi per fare pentole. Due culture a confronto, un piacevole senso di “degrado postindustriale”. E’ un´immagine quasi poetica, con la coda dell´aereo e la silouette degli operai che si vedono controsole, ritmata dall´hip-hop africano.

Nel riverside (dove devi pagare 1 euro per entrare e ti scannerizzano al portale radiometrico), ti accorgi che in Africa non esistono vecchi e se ci sono stanno morendo, pregando o dormendo. L´età media non supera i 20 anni ma siccome siamo bianchi e, anche per i nostri canoni occidentali, abbastanza “sleaze”, non facciamo fatica ad integrarci. Conosciamo un numero spropositato di persone ed è piacevole incontrare giovani svegli, incredibilmente differenti dal Medioevo culturale lasciato nel nostro sobborgo di Kibiri. Qui c`è l´Africa un poco naif ma dinamica, allegra, spiritosa con tanta forza e voglia di cambiare. Mi metto a parlare con un gruppo di studenti. Alcuni sparano a zero sul presidente che sicuramente verrà rieletto per la quinta volta, altri sono affamati di business e di Occidente. Una ragazza, che svolge attività di volontariato e sensibilizzazione su tematiche d´emancipazione femminile nei villaggi del Nord mi racconta di donne con 15-19 figli, praticamente uno ogni anno, di altre che usano le buste di plastica della spesa come assorbenti esterni ed interni, di un`ignoranza senza fine. La consolo raccontandole la storia di una donna di Milis, vicino ad Oristano, che si introdusse un assorbente e lo tenne per oltre una settimana pensando che fosse definitivo. Victoria mostra tutta la sua anima spagnola e non si perde un ritmo e una canzone, ballando insieme a un nugolo di ragazzi e ragazze che la attorniano per almeno 4 ore. Rientriamo a casa, di buon umore verso le 23.00. 

 

 

Lunedì 17 Agosto 2015

 

Mentre scrivo arrivano come di consueto Anita, Jennifer, Jacqueline e Judith, le 4 inseparabili bambine di 3-5 anni, che allietano le nostre giornate di lavoro nel cantiere, con i loro canti e balli. Si dispongo in fila e preformano un piccolo balletto accompagnato da una filastrocca. So già cosa desiderano: cibo. Gli preparo la colazione: fette di pane con burro d`arachidi e miele. Se li ho aggiungo dei biscotti. Divorano tutto avidamente. Qui non si fa colazione, il primo pasto è alle 10.00 con una tazza di porrige (semolino). Poi si aspetta le 13.00 per il solito piatto di posho e riso con un poco di fagioli sopra. Per cena la stessa cosa. Non esiste merenda, non esiste altro menù.

Oggi abbiamo incominciato la struttura in legno. Godfrey, anche lui impegnato nella “rat-race” africana ha consegnato ieri il legname benché gli avessi detto di prendersi il suo tempo e selezionare le tavole come accordato. Non valgono né le raccomandazioni verbali, né i contratti scritti. Mi accorgo che su 128 tavole che avrebbero dovuto essere tutte di minimo 3 metri, solo 9 lo sono, tutte le altre oscillano tra i 2,7 e 2,9 metri. Questo allunga di molto tutto il lavoro, dato che avevo già predisposto le sedi per i pali distanziate di un modulo di 3 metri. Mi ritrovo adesso a dover rifare daccapo oltre 40 nuove sedi nella zoccolatura di fondazione. Anche i pilasti in eucaliptus sono storti: con una freccia che arriva al centro del tronco a oltre 4 cm sembra un “long bow” (arco lungo) inglese. Seleziono il meno peggio e insieme a Tony e Victoria incominciamo ad erigere la struttura.

Oggi Robinson non viene: ieri era al funerale del fratello in un villaggio del Nord, morto sabato per un diabete scoperto solo venerdì.  Durante questi primi 20 giorni di Africa sono già 3 i parenti di nostri conoscenti che sono deceduti. 

Verso le 12.00, su mio sollecito a Bonniface, arriva Godfrey in persona. Come di consueto gli faccio le rimostranze sulla legna, gli dico che ha tradito la nostra fiducia, in particolare quelle degli orfani a cui sono destinate le tavole, insomma, gli piazzo il solito pippotto “moral-cristiano-penitente”. Si scusa con me: “I am very sorry Mr. Roberto”. Gli dico che si deve scusare con Bonniface e i bambini, dato che i soldi con cui abbiamo pagato le tavole sono i loro. Ripete le scuse a Bonniface. Non so se sia solo io a fare la messa in scena o entrambi. Ma chi mi fa infuriare di più è Bonniface che come al solito non mostra nessun segno di rabbia o preoccupazione. Siamo davvero due culture distanti e le barriere linguistiche e metalinguistiche sono oceaniche. Sicuramente gli ha ribadito in Luanda tutto il mio disappunto ma ogni volta che parlano sembra che discutano amabilmente sul tempo o su cosa hanno mangiato prima. Decido allora, visto che è già la seconda volta che non si attiene agli accordi presi, che tutte le tavole e gli assi dei prossimi carichi saranno misurati uno per uno, prima di essere scaricati. Tutto il legname che non rispetta le misure, non sarà pagato. 

Lavoriamo fino alle 18.30. La struttura della nuova ala nord della scuola è praticamente conclusa con parte delle tavole già inchiodate. Il fatto di non avere viti complica un poco il tutto e inoltre sono preoccupato per questo legname che non è stagionato. Chissà quali e quante crepe ci saranno tra un paio di mesi. Cerco di piantare i chiodi quanto più distante dalle teste delle tavole e di usarne il meno possibile. Ancora non so che tipo di legno sia questo “Kilundu”. A tratti penso che sia legno di balsa.

Il lavello è quasi finito così come altre piccole cose. Faccio presente a Bonniface che la terra che proviene dallo scavo del pozzo, sta oramai invadendo tutto il cortile della scuola e che occorre portarla via. Forse troverà un modo per venderla o per farne dei mattoni. Hassan, l´insegnante ventenne di Scienze della scuola, che faccio lavorare solo perché deve soldi a Bonniface, è un asino: lento, sempre pronto a fermarsi, lo devo continuamente riprendere. Mi viene in mente il terribile motto degli inglesi durante i primi anni di colonizzazione africana: “Twenty five on the back side”, “venticinque sulla parte di dietro” ovvero 25 frustate sulla schiena. Mi vergogno un poco di ritrovarmi per la testa questi pensieri ma il cervello non lo si comanda… Al contrario lo lodo in continuazione, anche se vorrei mandarlo a cagare mille volte.

Con Victoria dobbiamo stare attenti al linguaggio, dato che lentamente anche i colleghi africani stanno incominciando a capire cosa significhi “mierda”, “me cago in Dios” e “puta madre” e siccome passiamo gran parte del tempo a commentare le differenze tra noi e loro e alle volte i commenti non sono piacevoli (ma credo che loro facciano lo stesso), occorre evitare incomprensioni… Lavorare essendo inseriti in una cultura così differente non è semplice e occorre sempre armarsi di infinita pazienza, calma e diplomazia, per fare in modo che le cose si facciano e che le disposizioni vengano eseguite. La comunicazione è tutto e la risata o la pacca sulla spalla, sia per rimarcare le cose buone che quelle cattive, è fondamentale.

Passiamo poi almeno due ore a visitare alcuni terreni dove costruire il pollaio, ma tutto quello che vediamo è troppo distante dalla scuola o troppo caro. Alla fine trovo un appezzamento di 11x11 metri a 30 metri dalla scuola, proprio di una nostra vicina di casa. Certo non è il massimo per 100 galline, hanno circa 1 mq a testa a disposizione, ma in mancanza d’altro e vista l´inefficienza di Bonniface per trovare soluzioni migliori ci dobbiamo accontentare.  Io non posso accompagnarlo nella ricerca di potenziali terreni dato che vedendolo con un bianco il prezzo lieviterebbe alle stelle. Mi dice che si metterà in contatto con la proprietaria e mi farà sapere domattina. La giornata, durissima perché sta facendo molto caldo, si chiude con un´ottima tortilla di Victoria e dell´avocado. Si va a nanna alle 21.30.

 

Martedì 18 Agosto 2015

 

Alle 9.00 arriva Robinson e io e Victoria lo abbracciamo e gli facciamo le nostre condoglianze. Ci racconta quello che è successo al fratello. Lascia moglie e due figli. Fortunatamente la moglie è un´infermiera quindi ai figli almeno il cibo è garantito.

Lavoriamo moltissimo alla struttura in legno e completiamo praticamente tutti i muri dell´ala Nord. Gli Africani sono attoniti e divertiti nel vedere una donna bianca inchiodare, tagliare, trasportare le tavole e sbraitare al pari di un uomo. Sicuramente, spero, stiamo dando un buon esempio di femminismo e parità di genere.  Incominciamo a livellare anche il terreno delle vecchie classi e a spargere un poco della terra del pozzo nel cortile. Adesso è molto diverso da come lo trovammo 20 giorni fa, è quasi tutto in piano. Il lavori del pozzo procedono spediti. Le tre “macchine umane” sono davvero instancabili: sono arrivate a 16 metri di profondità. Oramai non si vede più l´operaio in fondo al pozzo. Gli chiedo se desiderino una lampadina, una luce, ma mi dicono che non ne hanno bisogno, sono abituati a lavorare al buio. La cosa straordinaria è che non hanno mai usato un filo a piombo ma il pozzo è perfettamente verticale. Gli chiedo anche come mai la notte non coprano il pozzo con delle tavole ma si adoperino sempre nel rimontare una palizzata attorno al buco. Mi dicono che se tappassero il buco durante la notte, il mattino seguente la temperatura interna sarebbe più alta e si lavorerebbe peggio. In questo modo, invece, il pozzo si “raffredda”. Come al solito, preparano il loro posho e i loro fagioli. Da quando sono arrivati qui non hanno mai mangiato altro, non un pezzo di carne, non un uovo. Sempre e solo polenta e fagioli, per un lavoro che richiede almeno 3-4000 calorie al giorno. Questo con buona pace dei nutrizionisti. Sono fiero d`essere vegetariano e questa è la conferma.

Non so ancora come imposterò la struttura del tetto, ovvero come posizionerò i listoni in legno che dovranno sostenere il tetto in lamiera. Mio padre mi invia soluzioni varie, ma credo che opterò per due sostegni laterali trasversali che sostengano il listone sul quale poi si inchioderà la lastra, in modo da avere due triangoli lavoranti, uno per ogni lato. Invece che optare per una mezza capriata, che in questo caso sarebbe un triangolo rettangolo, con il lato minore però troppo piccolo per contrastare adeguatamente la leva creata dal vento sulle pareti. Non voglio salire troppo con le altezze e mi fermerò a 2,5 -2,6 metri sul lato più alto e 2,3 – 2,4 su quello più basso. Non me ne vogliano né mio padre né gli altri amici costruttori e architetti: qui tutti sono di etnia bantù e la media si attesta sui 168 centimetri.

Dopo un calo ipoglicemico terribile, lavorando senza interruzione (non mi sono accorto di aver mangiato in tutto il giorno il solo posho con un poco di riso, mi devo sdraiare per almeno un´ora), concludiamo la giornata bozzettando il lay-out finale dell´ufficio di Bonniface e assistendo allo scarico dei mattoni refrattari per la cucina economica, da parte di Ivan, il giovane laureato in Economia che si guadagna da vivere costruendo cucine e “inceneritori” da giardino. Incominciano domattina. Dimensioni 3 x 6 piedi, 3 fuochi, altezza delle bocche di caricamento della legna min. 60 cm da terra. Pago tutti e la solita ratatouille cucinata da Victoria ci aspetta. Lei cucina, io lavo i piatti.

Mi addormento alle 21.00.

 

Mercoledì 19 Agosto 2015

 

La giornata incomincia sempre con il balletto di Anita, Jennifer, Jaqueline e Judith, che subito dopo si siedono a fianco a me, mentre digito il diario sul computer. Oggi, oltre alle fette di pane con miele e burro di arachidi, spettano loro due gallette a testa. Alcune di loro hanno i denti perfetti, altre con alcune carie. Tuttavia, l´estrema povertà le mette al riparo dallo zucchero, quindi i ricorsi al dentista potrebbero essere meno di quelli a cui si deve sottoporre un bambino ricco “zuccherato”. Certo, qui non si vede nessuna persona grassa, né nella scuola, né per la strada… giusto alcune “mamas” che hanno superato i 50 anni, ma in questo caso già si parla di metabolismo e non di diete ipercaloriche. Quello che mi fa rabbrividire è il fatto che ogni volta che durante i lavori tolgo dal mio zaino la mia bustina di arachidi tutti i presenti in cantiere, bambini, operai, incluso Bonniface, si addensano attorno alla bustina con le mani a cucchiaio per averne un pugno. Questo per non parlare delle poche volte che mi sono azzardato a tirare fuori delle gallette… Ma che cosa pretendo: da quando esiste la scuola, oramai 6 anni, in questo cortile si sono mangiate solo 12 cose: posho (farina di mais), riso, fagioli, cavolo in foglia, una specie di bietola, pomodori, peperoni, qualche patata, cassawa, quel pochissimo olio di semi vari che si aggiunge ai fagioli, qualche banana fritta o al naturale, qualche avocado. Fine. Ma non devo essere poi molto triste: se penso alla dieta di moltissimi bambini e adolescenti occidentali, forse il numero di alimenti è più o meno simile: latte, corn flakes, zucchero, cacao, patate fritte, carne fritta o hamburger, mozzarella (sulla pizza), passata di pomodoro (sulla pizza o nella pasta), farina 00 (per la pizza, pasta e pane), formaggio (per la pasta), cioccolato, biscotti, merendine/snack e bibite gassate a volontà. Forse, qualche volta, una banana o una fetta di melone/anguria. Siamo a 16, ma siamo lì.

Arrivo in cantiere alle 8.30. Victoria è impegnata ad aggiornare il suo blog in spagnolo, dato che molti donatori locali sono arrabbiati per non aver più ricevuto notizie da giorni. Con Robinson completiamo l´ala Nord della scuola e attacchiamo con la 7° classe, ovvero l´ala Sud. Robinson impara in fretta e mentre lavora canta canzoni in Inglese e in Luganda. Il lutto, immagino, in Africa dura meno. Forse la differenza d`età dal fratello (20 anni) e forse il fatto che vivesse in un´altra città… Forse anche il fatto che qui le relazioni sembrano meno profonde, meno morbose che da noi, benché mai come in Africa le sovrastrutture relazionali siamo minime e si entra in confidenza con qualsiasi persona dopo pochissimo tempo. Anche lo stringersi la mano in tre movimenti, dove letteralmente scannerizzi la pelle del tuo interlocutore, sembra quasi voler rimarcare la ricerca di un´assoluta vicinanza fisica, prologo di una conoscenza profonda. La distanza di conversazione è di 20-30 cm, con i bambini quasi puoi parlare naso contro naso. Anche nei minivan, dove si è strizzati come sardine, spalla a spalla, ci si accorge che è un popolo abituato ad un comunismo di spazi e destini molto intimo. Sembra, almeno per noi bianchi, che tutti siano disposti a raccontarti la loro vita, come se fossero dei vecchi amici che non vedi da anni. Dico a Robinson che mi piacerebbe invitarlo in Italia e fargli guadagnare almeno 4 milioni di scellini al mese (circa 1.300 euro). Mi risponde che verrebbe oggi stesso.

Verso le 17.00 abbiamo eretto le pareti della 7° classe, ma dobbiamo fare i conti con l´unica scala a disposizione nel cantiere, necessaria per inchiodare le tavole più in alto. Chiedo allora a Elik e Angela, tra le risate generali, di spingere con le braccia le mie gambe e il mio sedere affinché possa piantare gli ultimi chiodi in alto. Adesso manca solo la cucina, il riattamento delle vecchie 4 classi con la struttura in pali e le coperture. Sono trascorsi 18 giorni e il mio pessimismo non riesce a farsi convincere dall`evidenza dei fatti: il lavoro procede bene e riusciremo a chiudere tutto quello che ci siamo prefissati. Ma non ci credo e come al solito sto perennemente in tensione. Può sempre succedere qualche cosa.

Terminato il lavoro incontriamo la padrona di un piccolo appezzamento di terreno di circa 11 x 12 metri quadri, su cui vorremmo costruire il pollaio. È a meno di 40 metri dalla scuola, su una stradina ben in vista: impossibile rubare galline se non ci si va di notte con una cesoia per tagliare la rete. Inizialmente fa il prezzo di 100.000 scellini al mese (quasi 30 euro). Rimango attonito dato che l´appartamento con due stanze e cesso alla turca dove stiamo abitando ne costa 200.000 al mese (circa 59 euro). Non so se ci faccia o se l´ignoranza sia tale da non consentirle, in buona fede, di capire la differenza tra un pezzo di terra di 100 metri quadri e un appartamento. Con la mia brutale franchezza le chiedo se stia facendo un prezzo razzista a me che sono bianco invece di pensare alla scuola per orfani frequentata dai suoi stessi figli (suo marito, come prassi in Africa, l´ha abbandonata dopo il secondo figlio e la donna tira a campare non so come).  Le faccio capire che l´affitto non arriva dall´Europa ma verrà pagato attraverso la vendita delle stesse uova prodotte nel pollaio. Sempre le ricordo che Dio la giudica dall´alto… Dopo circa 10 minuti di conversazione in Luganda tra lei e Bonniface il prezzo scende a 60.000 scellini (17,74 euro) al mese: ancora un’enormità per gli standard africani e per la ratio del pollaio. Comunque accettiamo in prima battuta: il contratto deve essere per almeno 3 anni con opzione d´acquisto. Come da prassi africana pretende almeno 3 mesi d´affitto in anticipo, su quali non metto bocca. Alcune prassi locali vanno rispettate. Gli alberi di banano all´interno dell´appezzamento possono rimanere e lei può accedere quando vuole. Dovrebbe pagare noi per il concime sopraffino che le galline forniranno agli alberi.

La serata si conclude in maniera dura, dato che rientrando a casa mi accordo che l´energia elettrica ancora non era stata riattivata. Già sabato avevo avuto una discussione con Ida, la padrona di casa, lamentando il fatto che fossimo già tre giorni senza energia elettrica. Facendo finta di nulla aveva tentato di sgattaiolare dal cortile e ho dovuto seguirla in strada, bloccarla letteralmente per il braccio per avere spiegazioni.  Il problema è che l´edificio, che ospita 5 bilocali, ha un unico contatore e l´energia elettrica si divide in parti uguali per ogni singolo appartamento. Ognuno versa 5.000 scellini (1.47 euro) ed effettua la ricarica. Il problema nasce per il fatto che né lei né altri due inquilini (in parte morosi), hanno i soldi per ricaricare il contatore. Difatti, uno di essi da tre giorni va a dormire da un amico (che ha la luce) mentre lei e l´altro semplicemente fanno tutto al buio in attesa di recuperare dei soldi. Le avevo detto che l´energia ci serviva per il PC, per comunicare con i donatori del progetto, e che lei era responsabile del problema. Le avevo detto che ero pronto a pagare 20.000 scellini basta che ricollegasse l´energia quanto prima, oppure le avevo detto di chiamare un elettricista per separare i 5 impianti. Nulla di tutto questo è stato fatto e Ida non si trova. Ci aspettava quindi la quarta serata di preparazione della cena e tutto il resto al lume delle torce elettriche. Chiamo Bonniface, assai infuriato, dato che gli avevo fatto presente il problema almeno 3-4 volte e, come al solito, lui se n’era dimenticato. Gli chiedo di darmi i dati della locatrice, dato che sul contratto non erano segnati, per andare alla Polizia a denunciare Ida. Ero già sulla strada per l`ufficio locale quando mi raggiunge trafelato e mi dice di non farlo. A stento mi riporta a casa, parla con alcuni vicini e tenta di rintracciare Ida. In qualche modo riesce ad avere il codice elettronico per effettuare la ricarica dell`energia dal cellulare, acquistando una carta prepagata da 10.000 scellini.  Gli consegno il denaro. Non ha senso ripetergli: “perché non l’hai fatto prima, dato che sto chiedendoti di risolvere il problema da quattro giorni?”. Lo vedo già sufficientemente mortificato. Dopo circa 20 minuti si riaccendono le lampadine in casa. Ovviamente già so che nessuno adesso pagherà la propria quota, dato che i “muzungu” hanno pagato per tutti. Ritorna anche Ida, non le dico nulla, non mi va di passare sempre per il “cattivo”. Vedo che ha la creanza di non accendere la luce nel suo appartamento. Al contrario, l´altro vicino accende tutte le lampadine del suo appartamento e l’indomani mattina troverò la lampadina del suo patio ancora accesa dalla notte precedente.

Good night Africa.

DEBORAH RICCIU

ESPANDERE ORIZZONTI

bottom of page