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DIARIO

DIARIO DI UN'IMPRESA  QUASI IMPOSSIBILE

di Roberto Schirru

Giovedì 30 Luglio 2015

 

Colazione con 3 banane a testa e alcune fette di pane bianco con burro d´arachidi.  Si beve l´acqua, trasportata in bidoni di plastica gialli, oramai marroni di terra e sudiciume, solo e sempre attraverso un filtro portatile che abbiamo sempre appeso al collo. Victoria ha avuto la brillantissima idea di scovare e acquistare su internet questi filtri, uno a testa, capaci di filtrare fino a 1000 litri d’acqua, pensati per le catastrofi umanitarie e usati, ad esempio, ad Haiti o in Afganistan. Per fortuna, fino ad ora nessuno di noi ha avuto problemi intestinali o di diarrea.

Victoria si reca di nuovo a Kampala insieme a Nunkya, la moglie di Bonniface, per comprare scope, secchi, stracci, detersivi, stoviglie ecc., impossibili da trovare nel “quartiere”, mentre io mi installo nella scuola, o meglio nella “principal’s room” (stanza del preside) di Bonniface.

Parto subito con il computo dei lavori. Quanto più si programma a tavolino, tanto meno saranno i problemi, gli sprechi e tanto più veloci saranno i lavori. “Velocità” è un concetto assai relativo in Africa… Insieme a una decina di bambini che mi aiutano entusiasti con il doppio decametro, prendiamo le misure del “plot”, ovvero del terreno sul quale insiste la scuola, un quadrato irregolare di circa 23 metri di lato, con una leggera pendenza. Poi misuriamo i due edifici, quello in mattoni che ospita l’ufficio di Bonniface e le due stanze-dormitorio per gli orfani. Ogni stanza misura 3.3 x. 3.0 metri. Qui, su sudici pezzi di gomma piuma larghi 1,2 metri, dormono fino a 5 orfani ogni notte. Non ci credo e invito i bambini a simulare come dormono. Mentre scatto la foto incomincio a piangere. Purtroppo non sarà la prima volta e a stento riesco a nascondere questo stato d’ animo.

Avendo un’altezza sul lato del colmo di 4 metri e essendo l’altezza media dei bambini compresa tra 1 metro e 1,5 (poi passano ad altre scuole o vanno a lavorare), propongo a Bonniface di costruire un soppalco per ogni stanza, in modo da raddoppiare la superficie orizzontale, sfruttando lo spazio verticale, concetto quasi sconosciuto qui in Africa.

Bonniface si fida ciecamente di me, ed io costruttore, godo del raro privilegio di avere un “committente” che riconosce i ruoli, ascolta, apprezza e mi fa fare quello che ritengo essere il meglio per la scuola e per i bambini. 

Oltre ai soppalchi gli propongo dei letti a castello, riuscendo ad inserire un totale di 20 materassi su 4 livelli. Mantenendo una larghezza media per materasso di 1,2 metri e “imponendo” a Bonniface un massimo di 2 bambini per materasso, riusciremo a far dormire decentemente 40 piccoli.

Poi passiamo alle aule: la baracca in tavole, rifatta la lui in Aprile, dopo che un uragano aveva abbattuto quella precedente in canne, ha il pavimento in pendenza. Nessuno gli aveva detto che prima d`incominciare qualsiasi costruzione occorre livellare il terreno. Poco male, i pezzi di compensato tinti di nero che fungono da lavagne, sono messi nel lato alto delle rispettive classi, e questo elimina la necessità di una cattedra. Le misure delle aule sono 3,5 x 3,5 metri e circa 2,10 metri di altezza. Ogni aula ospita fino a 20 alunni. Sono classi che misurano forse meno di qualsiasi cameretta per bambino di una normale famiglia medio-borghese occidentale. Una parte di parete è realizzata in teloni per camion, mentre il resto in tavole di scarto irregolari. Il tetto è fatto parte in teloni e parte in lamiera ondulata. La struttura, in tronchi di Eucaliptus di circa 8 cm di diametro, essendo sufficientemente solida, benché irregolare, può essere salvata, dovendo anche fare i conti con i pochi soldi a disposizione. Si decide di completare i lati della baracca con tavole, rifare le coperture e ovviamente inserire le porte e una finestra per ogni ambiente.

Tempesto Bonniface con domande circa la vita della scuola, usanze, abitudini, orari, uso degli spazi, chi usa cosa, ecc. Ha bisogno di nuove classi e il fatto che la banca gli abbia portato via il rustico in muratura è un duro colpo. Decidiamo allora di costruire due ali laterali di circa 10 metri di lunghezza per 3.5 di larghezza cadauna, da aggiungere all´attuale baracca che ospita le classi, in modo d´avere altre 5 classi. Bonniface mi chiede se sia possibile avere un tramezzo rimovibile tra due classi, in modo da poter ottenere, quando richiesto, un unico ambiente per le riunioni con i genitori. Con il legno, materiale divino, tutto è possibile. Un sorriso sconfinato illumina il suo volto. Le due ali saranno adiacenti alla baracca centrale ma strutturalmente indipendenti, in modo da permettere, un giorno, l´abbattimento di essa e la ricostruzione simile alle due nuove ali.

Arriva il pranzo, piatto unico, come sempre: posho, riso, fagiolata e straccetti di cavolo-foglia in umido. Questa è una cucina poverissima, non si usa praticamente nessun tipo di olio e spezie e il gusto è affidato unicamente al gusto proprio degli ingredienti. Mio padre, avvezzo a quantità industriali di peperoncino, olio d´oliva e spezie varie, impazzirebbe di noia al primo boccone. Mi concedo una banana di nascosto dai bambini, dato che anch´essa è un cibo costoso qui e non ho avuto né il tempo né l´occasione di comprarle per tutti.

Victoria è ancora a Kampala: qui in Africa moltissime cose sono complicate e non si trova quello che si cerca in un negozio, in una via o in un quartiere. Alcune cose che ci servono, non si trovano nella zona di Kibiri dove viviamo, dato che nessuno se le potrebbe permettere. Occorre sempre andare nel “downtown Kampala”, e anche lì non sempre si trova tutto. Qui la vita è infinitamente più semplice e dura e centinaia delle nostre invenzioni occidentali, che per noi in Europa sono disponibili in ogni luogo, qui sono spesso sconosciute o inarrivabili ai più.

Finito questo primo sopralluogo, Bonniface si reca immediatamente a Kampala per cercare di definire l´allaccio della corrente elettrica alla scuola. Per fortuna il palo della bassa tensione cade su un angolo del terreno della scuola. Questo significa una spesa per la connessione irrisoria, dato che non bisogna estendere la linea esistente. Io mi metto a lavorare sul computo e passo almeno 6 ore conteggiando mattoni, metri cubi di sabbia, sacchi di cemento, numero di tavole, pali, tipo di copertura, punti luce, metri di filo elettrico, attrezzi da comprare, come organizzare la cucina, dove mettere le pentole e le stoviglie, dove mettere le decine di bidoni per l´acqua, via via fino ai minimi dettagli che mi vengono in mente. Tutto questo cosciente che, come sempre, il computo cambierà in base a mille variabili, come la disponibilità di materiali, la loro consistenza e il fattore umano, fondamentale qui.

Lo spazio è poco, come detto, è un fazzoletto di terra di 23 x 23 metri, dove passano le giornate circa 100-130 persone e occorre pensare come se stessimo progettando un grande carrozzone per circo, semplice ma funzionale.

Victoria rientra alle 19.00, delusa di non aver trovato molto. Poco ci manca che i bambini se la mangino, quando ne abbraccia uno. Qui regna un comunismo intransigente d`affetti. Se baci, abbracci o prendi in braccio un bambino, devi fare la stessa cosa con tutti!

La giornata finisce alle 19.30. Devastati dalla stanchezza abbiamo il sollievo di trovarci già due piatti di posho, riso e fagiolata sulla soglia della nostra abitazione, insieme ad almeno 5 bambini che ci attendono. La loro curiosità ed interesse per noi sono smisurati.  Io piombo in un sonno profondo alle 20.40. Victoria, così mi dirà il giorno dopo, si intrattiene con in piccoli e i vicini di casa fino alle 22.00. 

 

 

Venerdì 31 Luglio 2015

 

Stiamo ancora dormendo male, il fatto di non disporre di letti e soprattutto di mobili, rende tutto nella casa molto più difficile: è come stare in campeggio, si fa tutto per terra. Inoltre i violenti temporali notturni alle volte ci svegliano. Da stanotte userò i tappi. La temperatura è piacevole e anzi di notte io tengo una copertina leggera, rubata alla Turkish Airlines, mentre Victoria, che non ha dimenticato il suo sacco a pelo a casa come ho fatto io, gode di un maggiore confort. Ci dovremo dotare anche di cuscini (anche in questo caso abbiamo quelli prelevati alla Turkish Airlines), ma fino ad ora non ne abbiamo trovati. Volevamo la bicicletta, adesso dobbiamo pedalare!

Victoria riparte per la città per trovare del cibo per la colazione e altre varie cose, mentre con Bonniface andiamo a scoprire i prezzi dei materiali da costruzione. Devo stare attento, adesso tutto il mio bagaglio levantino di contrattazione deve essere utilizzato al massimo. La mia posizione è penalizzata perché sono bianco e qualsiasi prezzo io chieda viene automaticamente ed istintivamente maggiorato del 40-50% e alle volte del 300%. Devo quindi lottare per 3 livelli di sconto: il primo è quello di eliminare la “pregiudiziale fenotipica” e abbattere diciamo un 30% del costo, il secondo è fare appello alle due divinità principali che offuscano le menti in Uganda, ovvero i binomi politeisti Dio+Gesú  e Allah+Maometto, ricordando ai venditori che acquistiamo materiale per una scuola d`orfani d´Uganda, mentre la terza si basa sulla grande quantità di materiale che stiamo comprando.

Attacchiamo con l´“Abdullah General Store”, una catapecchia ripiena di utensili da cantiere, cemento, tondini di ferro, materiali di consumo vari e legname, il materiale principale per la scuola. Bonniface spiega cosa stiamo facendo e prima di aggiungere qualche cosa gli dico “Mr. Abdul, tu sei un musulmano vero?”, lui annuisce e sorride, allora continuo, “Mr. Abdul, mi può ripetere i 5 pilastri dell´Islam?”. Il suo sorriso diventa serio, inizia ad elencare: “Allah è l´unico Dio, pregare 5 volte al giorno in direzione della Mecca”, poi si ferma, mi accorgo che inizia ad avere problemi di memoria e gli vengo incontro: “Il terzo è pagare la Zakkah, ovvero fare l´elemosina, il quarto è fare il Ramadam e il quinto è andare almeno una volta alla Mecca, tutto giusto vero?”. Un sorriso incredibile gli si staglia sul volto e io continuo: “E’ proprio della Zakkah che voglio parlarti, come la mettiamo con i tuoi prezzi? Allah ti guarda e siccome stiamo aiutando gli orfani, tu devi farci dei prezzi bassissimi!”. Ovviamente scoppia in una risata, il ghiaccio è rotto. Passo in rassegna tutta la ferramenta e gli attrezzi che vende, rigorosamente cinesi, ma per il lavoro che dobbiamo fare vanno benissimo. Il punto dolente è il legname: tutte le tavole, listoni e madrieri sono della lunghezza di circa 10 piedi, cioè circa 3 metri, il che non sarebbe un problema se non fossero curve e ricurve come un coltello kriss malesiano. Il legname è pregiatissimo, tavole pesanti, assomiglia al palissandro (ancora non sono riuscito a capire di che legno si tratti dato che non ho il dizionario Ugandese-Inglese). Sembra che le segherie d`Uganda non abbiano una guida, una lista, un qualcosa che permetta di tagliare un tronco in maniera regolare. Non esiste una tavola uguale all´altra e lo stesso vale per i pali. Costruire decentemente qualsiasi cosa con tale materiale è praticamente impossibile. Contrattiamo il prezzo e tenendo conto che occorrono oltre 200 metri quadri di tavole (quasi 350 pezzi), si arriva a 7.500 UGS  (2,2 euro) a tavola, per un totale di 776 euro. Il primo, vero e importante costo di costruzione. Tuttavia il fatto dell´irregolarità non mi lascia tranquillo e gli chiedo se sia possibile andare direttamente in segheria. “Sì, non è un problema, la segheria dista solo 6 miglia da qui”. Al che decido direttamente di by-passare Abdul e comprare direttamente il legame dal produttore e imporgli degli standard occidentali di taglio e prezzi “per orfanotrofio”. Ci andrò giovedì prossimo.

Proseguiamo il giro dei vari rivenditori locali e come al solito invoco Dio e il fatto che stiamo lavorando per gli orfani d`Africa per ottenere uno sconto. Per un agnostico come me è praticissimo appellarsi continuamente a Dio per ottenere quello che si vuole, facendo leva sulla coscienza altrui. Tuttavia il soldo è immensamente più forte della pietà divina. Il secondo rivenditore è cristiano. Mi accorgo che i prezzi sono più o meno gli stessi del musulmano, così come per un terzo rivenditore. Decido allora, come mi insegnò mio padre, a suo tempo impresario edile, di non servirmi solo da uno ma da tutti, in modo da fare tutti felici e distribuire i soldi. L´idea piace anche a Bonniface, che nella zona è abbastanza conosciuto per via della scuola per orfani. D`altra parte dovremo spendere oltre 6.000 euro, ovvero oltre 20 milioni di scellini ugandesi! Se si pensa che lo stipendio medio in questa zona non supera in media i 400.000 scellini al mese (gli insegnanti della scuola guadagnano solo 100.000 UGS, cioè meno di 30 euro), è come se stessimo investendo in questa piccola comunità circa 50.000 euro, facendo un’equiparazione con l’Italia.

Visitiamo il falegname e discutiamo su come realizzare dei letti a castello robusti e a un prezzo ragionevole. Ho già preparato degli schizzi e li commentiamo. Gli spiego alcuni dettagli e alla fine ci fa il prezzo: 200.000 scellini (59 euro) per costruire 5 letti a castello, materiale escluso. Non male. Tenendo conto che non so quanto tempo ci prenderà tutto il resto, resisto alla tentazione di “fare tutto io” e mi affido per alcune lavorazioni ad altri artigiani. E, a parte tutto, 59 euro per costruire 5 letti a castello è una benedizione, dato che come minimo mi occorrerebbero almeno 3 giorni.

Completiamo il nostro giro dal fabbro: vorrei fargli realizzare delle altalene. Anche in questo caso preferisco farle fare, anche perché diversamente dovrei comprarmi una saldatrice che alla fin fine mi costerebbe più della manodopera di un fabbro. Già il giorno prima ne avevo adocchiato uno che mi era sembrato meno grezzo degli altri. Lo invitiamo a seguirci in una scuola locale e gli mostriamo una tripla altalena nel cortile: “like this one” (come questa qui), “how much?” (quanto?). Parte da 500.000 scellini (147 euro). Gli offro 300.000 scellini, lui rilancia a 350.000. Ci penso un attimo e poi gli dico di aggiungere un cartello in metallo con tanto di sostegno da posizionare lungo la strada per indicare la scuola. Confabula con Bonniface e accetta. Non male: per 103 euro, portiamo a casa 3 altalene e riusciamo a fare felici 100 bambini che non ci hanno mai giocato.

Al rientro compriamo da Abdul i primi attrezzi indispensabili per incominciare i lavori: 1 carriola, 2 picconi, 2 zappe, 2 pale, 1 ascia, 1 lenza, 1 cazzuola, 1 livello ecc. Tornato alla scuola resetto questo primo computo e definiamo altri particolari con Bonniface. Sono contento: per fare il 90% dei lavori in muratura e in legno, tetti inclusi, e per realizzare le 4 aule (oltre 60 mq in totale), non supero i 2.400 euro (manodopera esclusa). Sono circa 40 euro al metro quadro.   Domattina partono i lavori.

Come al solito, attorno alle 20.00, due bimbi della scuola ci portano la cena con il solito posho, il solito riso e la solita fagiolata. Mi chiedo quanto i palati viziati di una spagnola e di un Italiano riusciranno a resistere…

 

 

Sabato 1 Agosto 2015

 

Victoria ed io passiamo tutta la mattinata rispettivamente a Kampala e a Kibiri, per l´acquisto di varie cose che ci servono per la quotidianità e per il cantiere. È incredibile constatare quanto la mancanza di strade asfaltate, di un moderno sistema di trasporto e soprattutto di una certa programmazione urbanistica, possano incidere sulla qualità della vita. Qui la città è letteralmente esplosa con decine di migliaia di abitazioni sparpagliate su decine di colline che contornano il lato nord del Lago Vittoria. Il fatto di essere in collina rende il tutto ancora più invernale dal punto di vista delle infrastrutture, dato che con le piogge torrenziali, il vari “tratturi” che si incuneano tra i vari agglomerati incoerenti di case, si trasformano in canyon, spesso con solchi al centro tanto ampi da non permettere più il passaggio di nessun mezzo e magari tagliando 100 case dalla strada principale, arteria di vita e di scambio. Un´urgenza da queste parti è fatale, non solo per lo stato delle strade, ma soprattutto per il fatto che chiamare un`ambulanza costa e quasi nessuno se lo può permetter, per il fatto che gli ospedali sono pochi e concentrati nel centro della città, e per il fatto che, anche in ospedale, se non hai soldi si viene visitati prima o dopo in base a chi allunga la mazzetta più alta al medico. Qui si muore; oggi una bambina di 5 anni ci ha raccontato che ieri ha perso la sua sorellina di due anni e mezzo. Motivo? Semplicemente: “She died”, è morta. Non una lacrima, solo una faccia triste che mira verso il basso. Dopo pochi minuti la vedo giocare insieme alle altre bambine.  Chissà per cosa sarà morta. Sicuramente per una delle centinaia di patologie infantili che qui non fanno notizia. Si muore e basta. Ecco, adesso ho la percezione dei 21.000 bambini che ogni giorno, per malattia, parti insicuri o altro muoiono nel mondo, di cui oltre la metà nella sola Africa. 21.000 bambini, ogni giorno!   Nella scuola ci sono ameno 10 bambini con l’AIDS. Bonniface va una volta al mese al dispensario per prendere “the pills”, le pastiglie antivirali che allungano la vita di questi poveri disgraziati. Almeno queste lo Stato le fornisce gratuitamente. Non voglio sapere quali sono i bambini affetti. Qui avere l´Aids è una cosa normale, un po´come coloro che hanno l´anemia mediterranea o coloro che hanno già fatto la chemio e che saranno costretti a ripeterla. Sai forse che sono in qualche modo condannati, ma non ci pensi perché sono ancora in vita. Anche uno dei due professori maschi, John, che insegna Scienze sociali, ha avuto a che fare con l´AIDS: il padre infettò la madre che 5 anni fa morì, mentre lui è ancora vivo grazie alle medicine. Non un segno di rabbia tangibile verso suo padre mentre mi racconta una cosa simile: molti africani sono affetti da una flemma pacifica e quasi rassegnata ad un destino implacabile. 

La mattinata si conclude con disperati tentativi di collegarsi ad internet, in modo da poter riaprire il dialogo con i donatori. Tentativi falliti dato che qui in Uganda moltissime cose sono difficili, lente e complicate da fare e portare a termine. Una cena a base di banane, arachidi e alcuni pezzi di pane con un poco di margarina, chiudono il giorno. Abbiamo forse già perso almeno mezzo chilo a testa... 

 

Domenica 2 Agosto 2015

 

Festa della scuola, danze, balli, discorsi, rappresentazioni teatrali; poi il pranzo con i genitori, una riunione con loro e i saluti. In serata, benché fossimo devastati dalla stanchezza, il corpo insegnante ci trascina (sempre a nostre spese), al “Beach”, una piccola porzione di costa lunga circa 300 metri, con prato all´inglese, piccolo porticciolo, gazebo dove si balla, panchine varie. È un sito molto famoso a Kampala perché è stato costruito da Boby Wine, un notissimo rapper ugandese, al quale venne giustamente proibito esibirsi ad un famosissimo contest hip-hop a Londra, per le sue affermazioni omofobe tipo: “Occorrerebbe bruciare tutti gli omosessuali dell’Uganda”. La cosa bizzarra è che all´andata il taxi (sempre il minivan) è costato 500 scellini a testa, mentre per il ritorno ci chiedono esattamente il doppio! Della serie, o paghi il doppio o ti fai i 20 Km a piedi fino a Kampala… Inoltre, siccome su 8 persone 2 erano bianche,  è stato necessario che io e Victoria ci nascondessimo durante la contrattazione con il tassista. Il prezzo sarebbe potuto essere decisamente maggiore se si fossero accorti di noi in anticipo. 

 

 

Lunedì 3 Agosto 2015

 

Oggi abbiamo posato, letteralmente, il primo mattone della scuola. A dire il vero solo nel primo giorno ne abbiamo posato otre 1.500. Alle 8.00 arrivano i muratori che avevo richiesto a Bonniface. I muratori sono una razza stranissima. Ne ho conosciuto tanti e di diverse nazionalità. Di solito quello perfetto o costa troppo oppure se ne va dopo 2 giorni. Tony (34 anni) e Mr. Wananka (46 anni) sono delle persone miti, ma sono anche estremamente lenti. Guadagnano 25.000 scellini al giorno (7,30 euro), lavorando dalle 8.00 alle 18.000, e ogni volta che mi arrabbio per la loro relativa lentezza o i vari sbagli che fanno, penso alla loro paga giornaliera e mi calmo. Come tutti i muratori di questo mondo usano e sprecano una quantità spropositata di cemento, credo perché tanto non lo pagano loro. Inoltre, la muratura qui si fa con dei mattoni di terra cotta di dimensioni medie di 20 x 8 x 10 cm, estremamente irregolari, e questo comporta che la quantità di cemento sia maggiore rispetto ai corrispondenti mattoni “occidentali”. Il fatto è che alle volte lo spessore del cemento corrisponde allo spessore del mattone che lo lega... Dopo 20 minuti già capisco di che pasta sono fatti: appartengono a quella classe di muratori che non appena ti giri smettono di lavorare, oppure fanno fare il lavoro agli altri. Difatti, dopo essermi allontanato un attimo per un´altra faccenda, ritorno e vedo i bambini intenti a impastare il cemento mentre loro stanno impalati a guardarli. Gli chiedo se io debba pagare i bambini o loro. Si rimettono a lavorare. Sono cattivissimo, devo essere cattivissimo, ma a me stanno a cuore gli orfani della scuola e il poco tempo che abbiamo a disposizione per eseguire tutti i lavori. Tutto il resto conta poco. Alle volte devo prendergli letteralmente la cazzuola di mano e fargli vedere come devono fare un certo lavoro. Non mi interessa essere troppo diplomatico, qui non esiste nessun “relativismo culturale”: devono fare le cose come le voglio io e nel modo che decido io. D´altra parte non hanno nulla da insegnarmi dato che la loro cultura edile è giusto la pallida eredità lasciatagli dagli Inglesi, che nulla ha a che fare con la loro tradizione tribale legata alla realizzazione di straordinarie capanne. Se mi fossi trovato in un villaggio, tutto sarebbe stato diverso.  Controllo i livelli e gli chiedo se abbiano mai visto un livello. Si mettono a ridere. Cerco di essere anch’io ridanciano ma severo, non posso inimicarmi nessuno qui. Costruiamo dei corduli di fondazione, altre tre file di mattoni rossi di circa 50 cm. Su di essi erigeremo la struttura fatta in tronchi squadrati di eucaliptus 8x8 cm per poi inchiodare le tavole di legno Kilundu, che qui tagliano a 25 x 310 x 2 cm. In totale arrivano quattro camion, uno di sabbia, due di mattoni e uno con dieci sacchi di cemento. Ogni volta scattiamo delle foto mentre pago i fornitori, dato che né per la sabbia né per i mattoni, né tantomeno per il trasporto, ci rilasciano alcuna fattura. I mattoni si fanno in loco con la terra cotta con tronchi di alberi di palma inseriti sotto una piccola piramide tronca a base rettangolare, costituita dai mattoni stessi. Sono spaventosamente irregolari. Qui l´ordine di grandezza per le tolleranze si aggira sui 1,5 - 2 cm per qualsiasi cosa…

Si lavora tutto il giorno fino alle 19.00. I bambini spontaneamente ci aiutano tantissimo, soprattutto nel portare i mattoni da un punto all´altro della costruzione. Piove anche per un’ora ma fortunatamente il sole riasciuga tutto immediatamente. Anche oggi la giornata si chiude come al solito con un piatto di posho e riso, condito con fagioli e una cosa simile a delle bietole cotte. 

 

 

Martedì 4 Agosto 2015

 

Anche oggi continuiamo con la realizzazione dei muri di fondazione. E continuo con la mia guerra, persa, per far usare ai muratori quanto meno cemento possibile, e per fare in modo che il ritmo di lavoro sia un po’ più sostenuto del placido ritmo africano. Sento una pressione fortissima relativamente al tempo. Riusciremo a concludere tutto in cinque settimane? Brividi di freddo…

Abbiamo oltre 6.500 euro da parte dei donatori, ma adesso il problema è solo vincere la guerra contro il tempo, utilizzando collaboratori che a tratti seguono il ciclo del sole o il canto del gallo, o semplicemente la chiacchierata con il primo che passa, che, se non interrotta dal mio richiamo, potrebbe durare anche un´ora.  Ad ogni modo riusciamo a completare tutte le fondazioni delle due nuove ali entro la serata.

Verso mezzogiorno, Victoria, Bonniface, sua moglie ed io partiamo per Kibuye, un quartiere periferico di Kampala, per visitare un grossista di legno che ha anche una segheria. Il legno adesso è la mia croce, ci occorrono altre 200 metri quadri di tavole e occorre riuscire ad ottenere un buon prezzo. La visione di una segheria africana è esilarante: si cammina in mezzo a cataste di legno pregiatissimo tagliato in maniera grossolana. Il suolo è fango e terra, visto che è appena piovuto. Gente da tutte le parti, operai in piedi sulle cataste di legno, le mogli degli operai sedute su una qualche altra catasta al lato, elegantissime, che confabulano e bevono thè, bambini che passano con panieri sulla testa vendendo arachidi, platani fritti o bottiglie di bibite: un caos infernale! Ogni catasta potrebbe rovinare sulle persone in ogni minuto: non si vede un casco, non si vedono mascherine antipolvere, non si vedono guanti per le mani.

Veniamo accolti come se fossimo gli azionisti di maggioranza o gli amministratori delegati della ditta: un codazzo di almeno dieci persone ci segue per i cunicoli tra le cataste di legna. Ci presentano il boss, Godfrey Bulanga, un tipo mite e fortunatamente ci risultiamo immediatamente simpatici a vicenda. Il suo inglese è sufficiente per fare una buona contrattazione e per capire i problemi che abbiamo, in particolare la qualità del taglio delle tavole e dei listoni per il tetto. Ci porta nel “reparto segheria” e capiamo perché le tavole vengono fuori tutte storte: hanno delle vecchie seghe circolari da banco inglesi, suppongo degli anni `40. Gli assi dei rotori dei dischi da taglio sembrano dritti, il problema è che praticamente non usano la guida laterale, che non è graduata, e per non perdere tempo tagliano i differenti tipi di tavole ad occhio, senza allinearle con la guida. Ecco perché, per quanto l´operatore possa essere bravo, non si riesce ad avere delle tavole dritte. Cerco, in un rumore infernale e saltando tra una macchina all´altra (pericolosissime, tutte senza nessuna protezione delle cinghie e delle pulegge che girano), di far capire a Godfrey che prolungando la guida di 2 metri e usandola (!), può ottenere un taglio perfetto. Ma in parte non mi capisce, in parte non vuole capirmi. Nel relativo silenzio del suo “ufficio-cubo-di legno”, mi assicura che le 510 tavole, i 290 listoni per un totale di circa 5.000.000 di scellini (quasi 1.480 euro) che gli vorrei ordinare, “saranno tagliati perfettamente”. Gli stilo una pagina con i disegni, le misure sui tre lati di ogni tipologia di legno e le rispettive quantità. Gli chiedo di mettere il prezzo a fianco di ogni voce. Già conosco i prezzi, dato che a Kibiry ho visitato 4 rivendite di materiali edili. Dopo circa un’ora ci contrattazione cordiale ma dura (mi rifaccio sempre agli orfani e all´enorme poster appeso su una parete con un Gesù Cristo bianchissimo avvolto in un mantello azzurro alle sue spalle…), i suoi prezzi scendono: le tavole passano da 18.000 a 7.200 scellini (2,12 euro) l’una, e i listoni per il tetto e altre lavorazioni da 9000 a 7000 scellini  (2,07 euro) l’una. In fondo alla pagina, a fianco della data e delle rispettive firme, scrivo in grande “STRAIGHT !” (dritto!), ma già so che sarà inutile. 

Pranziamo in una squallida locanda, l`odore di montone bollito è insopportabile, il sudiciume spaventoso. Ordiniamo purè di banane, riso e fagiolata. Come sempre il conto totale è salatissimo: 3,38 euro, bevande incluse. Prendiamo un taxi e dopo circa 50 minuti siamo di nuovo nella scuola.

Alle 18.30 c’è il rito del pagamento degli operai: uno ad uno li faccio entrare nell´ufficio di Bonniface, gli faccio mettere un firma a fianco al loro nome, numero di ore e relativo importo. Stretta di mano finale: “Thank you, Mr. Roberto”, mi dicono. “You got to thank the donors”, gli rispondo. Ci si lascia sempre con un sorriso.  Poi tra me e me penso: il lavoro di 4 operai per 23,66 euro totali al giorno. Quale imprenditore occidentale riuscirebbe a non resistere alla tentazione di delocalizzare? 

 

 

Mercoledì 5 Agosto 2015

 

Oggi abbiamo concluso definitivamente tutte le murature, incluso il piedistallo per un serbatoio da 6.000 litri. Purtroppo sono dovuto ritornare a Kampala per risolvere il problema del conto bancario: da buon cinico previdente ho pensato che fosse più saggio non portarmi in contanti i 6.300 euro dei donatori che stavano sul conto corrente: l´aereo sarebbe potuto precipitare e i soldi, oltre a noi, avrebbero fatto una brutta fine.  Pensavo così di prelevarli giorno per giorno con la carta di credito, dato che Bonniface mi aveva scritto che il bancomat più vicino stava a circa 1,5 Km. Purtroppo, come moltissime sue comunicazioni, l´indicazione era sbagliata: il bancomat più vicino si trova a Kibuye, ovvero a oltre quaranta minuti di taxi dalla zona della scuola.  Non solo: il prelievo delle carte di credito ha un limite giornaliero di 100 euro e questo mi imporrebbe di venire a Kibuye quasi ogni due giorni, perdendo minimo tre ore di tempo preziosissimo per il cantiere. Decido allora di aprire un conto corrente di appoggio sul quale bonificare i soldi dei donatori. Operazione complessa, dato che come turista non potrei aprire un conto. Tuttavia le motivazioni (l´aiuto umanitario per gli orfani) sono sufficienti a convincere il direttore della banca a fare uno strappo. Vuole una marea di cose: 2 fototessera, le coordinate del mio conto corrente in Italia, il visto d`ingresso in Uganda, copia dei biglietti dell’aereo, il contratto di affitto della casa, la lettera di invito da parte della scuola, una lettera, controfirmata dal Comune della zona di Kibiri, in cui si attesti ufficialmente dove vivo e cosa sto facendo qui, e alcune foto di quello che stiamo facendo nella scuola. Inoltre vuole anche sapere quanti soldi bonificherò. Devo essere diplomatico, dato che Bonniface mi sta accanto e non deve capire a fondo quanti soldi disponiamo per davvero. Così gli dico circa 3.000 euro. Per riuscire ad ottenere tutta questa roba dovrò impiegare quasi 10 ore di preziosissimo tempo. “Money is too tight to mention”, cantavano i Simply Red...

Ripassiamo dal venditore di legname e gli pago un primo ordine di materiale, quello che occorre per i soppalchi e i letti del dormitorio (368,41 euro), in modo da far dormire più decentemente i bambini quanto prima. Inoltre sono curioso di vedere la qualità di questa prima partita di tavole e listoni, per capire se si può proseguire con questo materiale per i muri delle classi. Domattina alle 9.00 mi hanno promesso la consegna.

Ritornati alla scuola controlliamo lo stato dei lavori: sono sempre ottimista. Andiamo anche a vedere un primo posto per la realizzazione di un pollaio, dato che nel cortile della scuola non c`è posto. Non mi piace, è troppo lontano da tutto e qui quasi tutti possono rubare. Qui c`è fame e un pollaio è una tentazione continua. Un uovo costa 0,11 centesimi di euro, quasi come una corsa in “boda-boda (la motocicletta-taxi locale). Le uova costano molto e per questo motivo nella scuola non se ne mangiano. Finito il giro, Victoria ed io scendiamo nella strada principale (la scuola dista circa 300 metri) e compriamo 70 uova per tutti i bambini: costo 8,28 euro.

Oggi smantelliamo la vecchia “cucina” dato che occorre fare i livelli e costruire i muri di fondazione, e per questo vorremmo festeggiare con delle uova sode, una leccornia costosa per i bambini.  Abbiamo aspettato fino all´ultimo, dato che ieri era l´ultimo giorno di scuola e non potevamo lasciare la scuola senza. La cucina ci sta immensamente a cuore non solo perché ci sentiamo orgogliosi della nostra ricchezza culinaria italiana e spagnola, ma soprattutto perché pensiamo al lavoro di Madame Immaculate, l´insegnante tuttofare che da 6 anni cucina con una pentola posta sopra tre pietre in croce, servendo i piatti sulla nuda terra. Un amico ugandese costruisce stufe economiche a legna per ristoranti, lo chiamo, verrà sabato.  Non appena le uova sono cotte chiedo a Bonniface di distribuirle ai ragazzi e di informarli che dopo 6 anni la scuola avrà una cucina nuova e di non temere se momentaneamente stiamo abbattendo la vecchia. Molti bambini si addensano attorno alle pentole per raschiare dal fondo tutto quello che viene cucinato. Gironzolano sempre attorno alla cucina, anche quando non si sta cucinando. La piccola cerimonia si conclude e con grande gioia Hassan, John, molti bambini e io, abbattiamo questa vergogna. Immediatamente dopo incominciamo a costruire i muri di fondazione e a livellare il terreno nel suo interno. La cucina sarà l`unico dei nuovi ambienti ad avere un pavimento in cemento e non in terra battuta. Purtroppo i soldi non sono tantissimi e prima di pavimentare le nuove e anche le vecchi aule ci sono altre priorità più importanti, come i letti, il serbatoio, il tetto e il pollaio. Magari il prossimo anno...

Lavoriamo sodo fino alle 19.00. Si decide dove disporre la cucina, i vari banchi di lavoro, addirittura un posto dove lavare le pentole con l´acqua corrente.  Spiego a Bonniface e a Immaculate che in Europa il pavimento è solo per posarci i piedi e soprattutto nella cucina e mentre si cucina, nulla deve essere fatto o posato in terra, per via dell´igiene e della schiena. Immaculate dovrà lavorare sempre con la schiena dritta. Propongo anche di realizzare due finestre, una per il passaggio dei piatti pieni, e una per il ritiro dei piatti sporchi. Mi sono accorto che i bambini stanno diligentemente in fila, durante la distribuzione dei pasti, una bella eredità inglese. Chissà se anche i bambini eritrei o libici fanno lo stesso…

La velocità di rotazione periferica della Terra, qui all´Equatore (la nostra casa dista solo 2 km da esso), è ovviamente più alta che in Europa. In meno di 30 minuti si passa dalla luce al buio, straordinario!  

Ieri abbiamo comprato un piccolo fornello di terracotta e del carbone di legna per cucinare: non è possibile mangiare sempre le cose che servono nella scuola.  Ogni sera, quando si rientra a casa, il rituale è sempre lo stesso: pezzi di giunco secco, cerini, fiamma, scintille, carboni ardenti e subito si parte con le pentole di alluminio per cucinare qualcosa che contenga anche olio d’oliva, qualche spezia, cipolla, patate ecc. ecc.

Le nostre rispettive tende antizanzare ci aspettano di solito alle 21.30, riparandoci da una sinfonia di ronzii e punture che alle volte mette paura. Entrambi siamo già stati punti almeno due volte, ma la copertura con il Malarone di Victoria e forse la mia microcitemia, ci difendono dalla malaria.

Ma la giornata non è ancora finita.  Mi ero appena messo i tappi nelle orecchie per riuscire a dormire meglio che sento la voce di Bonniface che bussa alla porta. Sono le 22.00: “Mr. Roberto, come to the school please, the are connecting the light” (Sig. Roberto, venga alla scuola per favore, stanno connettendo la luce).  Mi vesto in fretta e andiamo. Aspettavo questo momento dal mese di luglio, quando inviai dall´Italia, con bonifico Western Union, 220.000 scellini (65,00 euro) per l´allaccio alla rete di distribuzione elettrica. Dal mio arrivo, tartassavo continuamente Bonniface sullo stato della connessione. Giovedì 30 Luglio era arrivato per il sopralluogo il tecnico della società elettrica ugandese al quale ho dovuto allungare 50.000 scellini (14,78 euro), come “mancia” per velocizzare la connessione. Mi assicurò che l`avrebbero fatta domenica stessa (il 2 Agosto).  Ero preoccupato, già lunedì 3 Agosto, avevamo posato l´impianto elettrico nell´edifico dormitorio-ufficio, incluso d`interruttore salvavita, puntale di rame per la messa a terra ecc., ma dei tecnici della UETCL neanche l’ombra. Alla fine sono arrivati, di notte! Mentre controllo il cavo di connessione, scorgo con la torcia a batteria un tecnico che in cima ad un palo in legno che confina con la scuola, sta collegando il nostro cavo ai fili della bassa tensione. Lo scovo solo perché l´uomo indossa un gilet con i catarifrangenti. Lavora totalmente al buio e sicuramente in tensione. Mi dicono che erano tutto il giorno “very busy”, connettendo altre case e che si sono liberati solo ora. Per una “mancia” da 50.000 scellini (ossia la paga di 2 giorni di lavoro di un operaio), mi sarei aspettato un´altra ora per l´intervento. Ma in Africa occorre sempre accontentarsi, un poco come in Italia. Il problema salta fuori quando mi accorgo che il cavo che dal palo arriva al dormitorio è stato semplicemente annodato ad un listone in legno della mantovana del tetto e lungo la sua traiettoria poggia sul lato tagliente della lamiera ondulata del tetto stesso. Il vento e le relative oscillazioni, lo spellerebbero o taglierebbero, con il rischio di cortocircuiti, soprattutto sul tetto che è in metallo.  Non solo: il contascatti esterno (qui in Uganda il contattore si carica con il cellulare come se fosse una ricarica telefonica) è posizionato in maniera penosa giusto con un chiodo, appeso. Perdo la pazienza, la prima volta da quando sono qui. Il loro intervento costa 70.000 scellini (20,70 euro) e il lavoro è fatto malissimo, soprattutto non è sicuro. Lascio da parte tutta la mia già scarsa diplomazia e furioso gli urlo che non  sanno fare il proprio lavoro, che sono “incapable of a good work” (incapaci di fare un buon lavoro), che il lavoro fatto è “higly dangerous, a real shit” (estremamente pericoloso, una vera merda), che “you do not care a fucking shit about the children of the school, who can get a electrical shock, out of their bloody work” (non gliene fotte un cazzo dei bambini della scuola che si possono prendere la scossa, per via del loro schifoso lavoro)  e, cosa più importante, che voglio tutti i soldi indietro finché non riposizioneranno il cavo in maniera sicura. Dicono che così va bene, cercano di argomentare in maniera penosa.  Mi incazzo anche con Bonniface, dato che invece di aiutarmi nelle mie ragioni sembra fare da paciere. La sua flemma sempre cordiale alle volte mi urta massimamente. Prendo a calci la prima cosa che mi capita a tiro, poi mi rendo conto che molti degli orfani, seduti attorno al fuoco, mi stanno osservando. Mi blocco, vado da loro, ne accarezzo alcuni, gli sorrido, li tranquillizzo. Poi minaccio ancora i tre tecnici con tutta la veemenza verbale possibile. Non si poteva pagarli dopo, dato che per queste lavorazioni, vengono solo se li paghi in anticipo. Il ricatto, sublime strumento per imporre le proprie ragioni, questa volta non poteva essere applicato. Ancora non si muovono, mi guardano attoniti, forse è la prima volta che vedono un bianco incavolato.  Gli urlo “what the hell are you waiting for, take the bloody stair and get the cable straght!” (che diavolo state aspettando, prendete la scala e posate il cavo correttamente!). Finalmente si muovono. In tutti i casi la luce c’è già: colleghiamo la lampadina, si accende. Dopo 6 anni, il principale motore dell´industrializzazione moderna, l´energia elettrica, arriva anche nella nostra scuola.  Mi sarebbe piaciuto un modo meno cruento. Il cavo è riposizionato, sono le 11.30. Vado a dormire. Un altro giorno spiegherò perché non è attualmente possibile installare un impianto fotovoltaico. Mi consolo sapendo che tale energia proviene da una centrale idroelettrica, quindi non è inquinante. 

 

 

Giovedì 6 Agosto 2015

 

Oggi ho sprecato di nuovo metà mattina a Kampala per risolvere il problema del conto corrente. È spaventosa la complessità burocratica in cui ci si avvita nei paesi meno industrializzati e civili. È sempre così: quanto maggiore è la povertà e l´ignoranza tanto maggiore è la necessità di potenziare la burocrazia per prevenire frodi e ruberie. Come in Italia o in Grecia.  Rientro alla scuola alle 11.00 e ovviamente il legname non è ancora arrivato. Oggi lavorano solo Tony e Hassan, dato che occorre solo rifinire e praticare i buchi nei muri per le assi che tengono le tavole dei rispettivi soppalchi nelle due stanze del dormitorio. Sostituisco la spina cinese con quella inglese alla sega circolare: adesso sarà lei l´assoluta protagonista del lavoro. Dopo 4 telefonate di sollecito arriva la legna. Sono quasi le 14.00, mi avevano promesso di consegnarmela alle 9.00: “It is the traffic, Sir” (E´ colpa del traffico, signore).

Parto subito con il costruire due cavalletti per tagliare le tavole, forse una delle poche cose “orizzontali e in piano” di tutta la scuola. Mio padre mi dice sempre che un primo passo della civilizzazione è stata la creazione di “piani orizzontali”, qualsiasi sia il loro uso. In effetti, una linea orizzontale è sempre più “amica” di una verticale. Squadro alcune tavole per avere finalmente una linea retta per fare i profili, una specie di metro-campione, come quello conservato a Parigi!  Preparo i madrieri per i soppalchi: tutti sono incantati dalla sega circolare che taglia il legno, i bambini giocano con i trucioli e la polvere del legno. Lavoro incessantemente fino alle 21.00: Tony e Hassan stanno diventando “occidentali”, il loro ritmo è aumentato. Sempre gli ricordo che è il lavoro che comanda e non noi. I pali devono essere posizionati e murati nei fori entro la serata, in modo da far asciugare il cemento durante la notte. Finiamo sfiniti ma soddisfatti: i madrieri sono posizionati e tutti murati. Un bel giorno.

 

 

Venerdì 7 Agosto 2015

 

Oggi proseguiamo con alcune rifiniture e con la preparazione dei marciapiedi. Mi tocca ritornare a Kampala ancora una volta per il conto corrente. Sono devastato. Ogni volta mi tocca respirare un`aria inquinatissima, condita con abbonanti dosi di polvere. Al ritorno, i massetti per i marciapiedi sono quasi pronti così come altre piccole cose. Attorno alle 13.00 andiamo a vedere alti siti per il pollaio. Forse ne abbiamo trovato uno. Alle 15.00 viene un vicino che realizza trivellazioni. Mi dice che la falda si trova a 100 piedi, e non a 100 metri, come mi aveva detto Bonniface. Questo cambia tutto, 100 piedi sono poco più di 30 metri. Il pozzo lo farebbero a mano, impiegando circa 15 giorni. Il costo si aggira sui 6 milioni di scellini, circa 1.770 euro. Gli dico che deve essere timorato di Dio, che stiamo lavorando per gli orfani e per la scuola di tutta la comunità. Gli offro 2.5 milioni di scellini (739 euro) e mi dice che ci deve pensare. Lo richiamerò tra una settimana.  Faccio poi un giro per confrontare diversi serbatoi d’acqua, sia in metallo che in polietilene. I prezzi si aggirano tra i 300 e i 600 euro, a seconda della qualità. Staremo a vedere.

Intanto Victoria sta lottando per riuscire a caricare foto e video su internet, un´impresa qui. Occorre trovare un internet point quanto più vicino alla scuola, dato che con lo smartphone è praticamente impossibile. Vorremmo poter caricare le centinaia di foto e video che facciamo almeno ogni due giorni, ma ancora non siamo riusciti a risolvere il problema. Le traduzioni in Inglese e tedesco sono impossibili, mi toccherebbe stare tutto il giorno a scrivere e questo non è possibile.  Decidiamo che questo diario sarà solo nelle nostre rispettive lingue madri mentre per l´inglese e il tedesco basteranno i video.

La giornata si conclude come sempre con una ratatouille di verdure varie, patate e olio d’oliva della zona di Bari. Victoria ha inventato una via di mezzo tra il minestrone tradizionale, la pasta primavera e il ratatouille propriamente detto: dopo un soffritto di cipolla, aggiunge patate, peperoni, melanzane (lei le pela, perché non sono biologiche), carote in dadi un poco di sale e olio. Alla fine, mentre tutto bolle, versa la pasta. Il risultato è eccellente. Da giorni le sto chiedendo una tortilla spagnola ma il problema è che non si riesce a trovare una padella antiaderente. Ma come la preparavano i conquistadores spagnoli quando scoprirono le patate? Chi può dire quando venne cucinata la prima tortilla? Victoria, anzi "Mummy Victoria" come la chiamano qui, ha comprato due barattoli pieni di piccoli biscotti: ogni giorno, a partire dall’alba, decine di bambini della zona passano di fronte alla nostra casa per vedere i "Muzungu" (cioè noi) e... ricevere una manciata di biscottini. La prossima volta occorrerà portare anche un dentista!

 

 

Sabato 8 Agosto 2015

 

Da bambino ebbi la fortuna, insieme ai miei fratelli, di disporre di quantità industriali di tavole e chiodi che mio padre, all´epoca impresario edile, alle volte parcheggiava in giardino. A partire dai 6-7 anni costruivamo “case di Tarzan” sopra gli ulivi del nostro giardino. Poi a 13 anni incominciai a tagliare balsa per costruire aeromodelli. Adesso tutto quel bagaglio di esperienza mi ritorna utile. Anche mio fratello Massimiliano si dà del tu con il legno, avendo ricostruito un castro romano in legno, con tutte le baracche in tavole: più o meno quello che andiamo a fare qui. Le tavole sono molto fresche provenienti da tronchi magari tagliati una settimana fa: quando ci pianti un chiodo gocce d’acqua fuoriescono attorno ad esso. Sarà pure legno pregiato, ma il peso abnorme è dato dal fatto che non è stagionato. Il legno viene dall´Uganda e in parte dal Congo. Penso se sia certificato o meno, non lo potrò mai sapere. Mi consola che almeno serve per dare un tetto e una scuola migliore a 133 bambini africani e non per divenire parquet di qualche cazzo di casa superaccessoriata e superricca dell´Occidente o dei nuovi ricchi cinesi e indiani.  In questo noi occidentali siamo più colpevoli di cinesi e indiani, dato che tutta la questione del legno certificato ben si conosce da noi, ma nonostante questo ce ne fottiamo (se ne fottono…) e si continua a comprare legno non certificato a poco prezzo, con buona pace se le ultime foreste primarie scompaiono, insieme alla fauna e agli stessi abitanti umani!

Tagliamo tutte le tavole per i soppalchi e le posizioniamo. Poi preparo la scala per accedere al soppalco, uso chiodi e colla, non ci sono viti. La colla proviene dall´India, una buona vinilica molto puzzolente ma sicuramente tenace.  Nel frattempo Tony, John e Hassan concludono i marciapiedi e razionalizziamo lo scarico delle acque bianche delle “docce”. Non ha senso adesso, con il poco tempo a disposizione, fare una fossa settica: qui milioni di case hanno il classico buco-latrina dove ci si defeca. Per adesso rimarrà così, l’anno prossimo cercheremo di migliorare la situazione. Preparo il posto per una botola di ispezione e prolunghiamo il marciapiede fino alle latrine, in modo che i bambini non debbano sporcarsi i piedi con il fango, misto ad urina ed escrementi quando passano dalle latrine ai letti. Piazziamo la scala ed Elik è il primo bambino a salirci. Lunedì completeremo l’altra stanza.

Arriva Ivan, l´amico che costruisce cucine economiche a legna. Dico a Immaculate di spiegare per filo e per segno cosa e come desidera avere la cucina. Discutono per quasi un’ora. Alla fine si decide per una cucina a 3 fuochi. Impongo a Ivan che l’altezza degli sportelli di caricamento della legna non possano essere più bassi di 55 cm. Non voglio più che Immacualte e gli altri bambini che aiutano in cucina stiano continuamente inclinati. Lavora sulla dimensioni e alla fine mi assicura un piano di lavoro di massimo 1 metro con un´altezza degli sportelli di 55 cm. Dopo circa un’ora di contrattazione e di discussione sui dettagli tecnici fa i suoi calcoli e mi dà il suo primo prezzo, 1,5 milioni di scellini. Chiamo Bonniface e gli dico di provare a farlo scendere ancora. Dopo 10 minuti scende a 1,3 milioni di scellini (381 euro), un ottimo prezzo, tenendo conto che i mattoni refrattari qui costano moltissimo e c’è molta manodopera. Rimane aperta la questione della camera di combustione. Devo riuscire a trovare i piani per inserirci un braciere pirolitico, in modo da risparmiare ancora di più sul consumo di legna.

Nel frattempo John ha riempito il “sand pit”, l´aiuola con la sabbia per i bambini. Questi bambini raramente hanno giocato con la sabbia. Allora mi siedo con loro attorno e gli faccio vedere come si fanno le torrette con le tazze e i secchi che abbiamo a disposizione. Sono esilarati. Gli faccio vedere anche come si possono fare le capriole senza farsi male.  Come al solito mi viene da piangere. I bambini qui sembra che non conoscano molti giochi, mi consolo pensando che anche i nostri bambini occidentali conoscono quasi solo la Playstation. Tuttavia il gioco dei bambini in Africa è una cosa più rara, meno strutturata e organizzata che da noi.  Già in Senegal mi accorsi che i bambini non sanno giocare se non a calcio e a poche altre cose. Gli adulti non giocano mai con essi. Per loro sono solo adulti “piccoli”, e fondamentalmente dei “voti” per le loro rispettive credenze religiose e futura pensione. Ho trovato conferma di ciò anche in alcuni testi sull´Africa.

Si tira tardi lavorando fino alle 21.00: si fanno gli straordinari anche questa volta. Alla fine, quando mettono le loro firme a fianco degli importi giornalieri maggiorati, il sorriso degli operai e il loro “Thank you Mr. Roberto”, li ricompensa di tutto. Io penso invece che stanotte almeno la metà dei bambini orfani poggerà i materassi su un caldo tavolato in legno e non sul freddo pavimento in cemento come durante gli ultimi 6 anni. Questo tavolato, irregolare, grezzo, non levigato né verniciato, è il parquet più prezioso con il quale abbia mai avuto a che fare.

Di nuovo le lacrime fanno capolino nei miei occhi. “Good night children” (buona notte bambini)…

 

 

Domenica 9 Agosto 2015

 

Passiamo tutta la domenica mattina fino alle 13.00, aggiornando le pagine del diario. Nel pomeriggio prendiamo una piroga a motore e insieme al nostro vicino Ibrahim, un simpatico laureato in Economia che collabora all´imminente campagna elettorale dell´attuale premier Museweni, in carica da appena 22 anni! Solo Obama durante la sua recentissima visita in Kenya ha fatto un accenno al fatto che “alcuni governanti” non dovrebbero stare in carica tantissimo tempo come lui.

Navighiamo con la classica lancia del Lago Vittoria con motore fuoribordo verso alcune isolette a circa 8 km dalla costa. Una in particolare è abitata, un piccolo villaggio di pescatori, case di fango e infinita miseria. Quando arriviamo veniamo accolti da uno stormo di bambini vocianti e allegri. E’ raro che dei turisti visitino questo posto. Salutiamo lo “chef”, il capo del villaggio, un ragazzo di 25 anni, vestito all´occidentale che neanche ci dedica molta attenzione, impegnato com’è con il suo smartphone. Ci mettiamo a girovagare tra le strette vie del villaggio, tra una capanna e l´altra. Purtroppo non abbiamo molto tempo né siamo antropologi, ma sarebbe interessante capire le microdinamiche relazionali tra gli abitanti del villaggio: le nascite, gli amori, gli incesti, il lavoro, le faide, la solidarietà, la morte. Saranno simili a quelle dei nostri paesini di montagna o ai tipici villaggi di pescatori del Sud Italia, magari a quelle descritte da Grazie Deledda o forse a quelle descritte da Giovanni Verga o Luigi Pirandello?  Mi fermo a fare delle foto ad alcuni uomini che succhiano da un secchio in plastica un pastone di miglio e acqua fermentato con delle sottili cannucce di giunco. Mi invitano a favorire ma vorrei evitare qualche epatite o mononucleosi…  Tutto è interessantissimo, si vede l´origine dei nostri villaggi medievali europei, le stesse dinamiche dell´utilizzo dello spazio, la stessa sporcizia, la stessa condivisione degli spazi tra animali e umani. Un embrione di piazza, una capanna-chiesa e una capanna-moschea. Ci dicono che qui c`è anche una scuola.   Non potrebbe essere diversamente, dato che per arrivare alla costa ci si impiega quasi 30 minuti con una barca a motore. Solo che qui tutti vanno solo a remi. Alcuni parlano inglese e chiedo i tempi e i costi di realizzazione dei muri in legno, canne e fango e dei tetti in giunco. Vorrei applicare le stesse tecniche alla scuola. La costruzione dei muri in fango è abbastanza lunga, sicuramente molto più lunga di quella in tavole di legno. Per costruire una capanna rettangolare di circa 3 x 4 m. e alta circa 1,8 m. occorre almeno una settimana. Il fango, se la mantovana del tetto fa il suo dovere e tiene lontana l´acqua, può durare fino a 6-8 anni. Il tetto in giunco invece dura solo 8 mesi, massimo un anno. Poi va sempre rifatto. Ecco perchè sotto le coperture in giunco spuntano dei teli di polietilene trasparente, quando non sono già stati sostituiti dalle onduline in metallo. Qui tutti vorrebbero avere un tetto in metallo dato che nessuno vuole più essere costretto a dover rifare il tetto ogni anno. Ecco quindi la potenza delle invenzioni occidentali con tutti i loro pregi e difetti. Il problema è che costa tanto per loro. Ecco, comunque la si giri, un “tetto ecologico” non lo vuole nessuno, tantomeno chi, secondo noi, ci dovrebbe abitare felicemente sotto. Il fatto è solo uno: l´Uomo vuole stare comodo, ama il confort e vorrebbe lavorare il meno possibile. 

Durante il viaggio prendo molto vento. Passo la notte con 37 di febbre. No, non è malaria. 

DEBORAH RICCIU

ESPANDERE ORIZZONTI

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