top of page
DIARIO

DIARIO DI UN'IMPRESA  QUASI IMPOSSIBILE

di Roberto Schirru

Giovedì 20 Agosto 2015

 

Bonniface è una brava persona, ma sono contento di non averlo avuto come preside o come padre. È lento, si dimentica le cose, non conosce la programmazione, non conosce i fondamenti della gestione di un´azienda, il disordine regna sovrano nel suo studio e nella scuola. Non esiste contabilità se non un piccolo quaderno dove annota le spese e neanche tutte. Come già detto devo ripetergli le cose svariate volte: “hai chiamato quello, hai comprato questo, quando mi dai la ricevuta di codesto” ecc. Inoltre, non sopporto un uomo che avendo avuto un primo figlio, Elik di 12 anni, meraviglioso (mi viene voglia di adottarlo e portarlo in Italia), con la prima moglie, arrivi a fare altre 4 figlie con la seconda moglie, Nankja, nella speranza, inappagata, d`avere un altro maschio. E ancora, nel vedere che questi 5 figli sono poveri quanto gli stessi orfani. Lui dorme nella sua casa con Nankja mentre i loro 5 figli dormono nella scuola in condizioni miserevoli. Per calmarmi penso che “voglia dare un´educazione comunistica ai suoi figli”, “nessun favoritismo, siamo tutti uguali”. Né tanto meno posso ancora fargli la domanda che sempre mi rode: “Perché se sei povero hai fatto 5 figli, benché abbia messo su un orfanotrofio?”. Ma poi mi ricordo che qui i figli si fanno per dovere, per noia, per ingraziarsi gli antenati o per avere il maschio. Al quale poi, povero Elik, gli si fa fare una vita di stenti, non lo si bacia, abbraccia o accarezza mai. Certo, relativismo culturale: nessuno può dire che i bambini africani siano meno felici di quelli occidentali. Non ho mai visto Bonniface urlare, alzare la voce o picchiare i suoi figli. Tanto meno ho mai visto i suoi figli disobbedire ad un suo ordine. Tuttavia queste differenze ti fanno pensare, ma non necessariamente calmare. “Alla ricerca dell'educazione perfetta”, mi viene da pensare. 

Ma il mio buonismo e relativismo culturale si interrompe quando lo stesso Elik alle 10.30 del mattino viene da me e mi dice: “Roberto, i am hungry” (Roberto, ho fame). D`un tratto tutta l´impotenza, tutta la tragedia della sovrappopolazione e della povertà d`Africa e del Terzo Mondo mi si parano chiarissimi, nudi e crudi. E mi infondono un senso di sconfinata impotenza. “Roberto, ho fame”: l'aveva ieri, l’ha oggi e l’avrà domani.  Potrebbe essere mio nipote Simone di 15 anni o Alessio di 10, che mi chiedono lo stesso. Mi assale una disperazione tremenda unita ad un odio profondissimo per questo padre che ha messo al mondo 5 figli senza poterseli permettere e per le tre culture dominanti qui: quella africana originaria, quella cristiana e quella musulmana, che sfornano bambini con logiche incompatibili con l´era attuale.  Vorrei avere qui i vari papi, i vari mullah e chiedergli chi cazzo darà da mangiare a questo bambino e cosa e quanto mangerà quando noi saremo ritornati nella nostra Europa, fortunatamente a crescita zero? Penso al nostro vescovo di Sassari, grasso e riverito, che probabilmente non ha mai tirato fuori di tasca un centesimo per aiutare il prossimo, ma ha sempre e solo utilizzato i soldi incassati dalla Chiesa con l’8 x 1000. Vorrei averlo qui, adesso, in questo cazzo di orfanotrofio, in questo cazzo di cortile polveroso, sotto questo sole cocente, e metterlo di fronte ad Erik, a 30 centimetri dai suoi occhi e ai milioni di bambini che non sarebbero dovuti mai nascere e che adesso hanno fame. Da vegetariano lo avrei accoppato, lessato in quelle squallide casseruole di alluminio e servito ad Elik e ai suoi compagnetti con riso e posho! Bastardi, bastardi assassini, loro e il loro catechismo! Tutto l’odio di Nietzsche e l´Irriverenza di Voltaire, entrambi all'ennesima potenza, contro di voi!

Penso al futuro di Elik e dei suoi amici e sorelle, condannati a mangiare queste cazzo di dodici cose per il resto dei loro giorni e rimanere perennemente affamati come i cani randagi.  Corro a casa, prendo un pacco di pane a fette bianco, un barattolo di burro d’arachidi e scoppio a piangere a dirotto. Come adesso, mentre scrivo e rimando questi pensieri. Ritorno al cantiere, in meno di cinque minuti quindici fette di pane sono scomparse insieme a quasi mezzo chilo di burro d’arachidi. Elik aveva fame, tutti avevano fame. “God bless Africa!” (Dio benedica l´Africa!)
Parto per Kampala, per andare alla Stambic Bank e ritirare i 5.190 euro di donazioni. Bonniface mi dice d’aver chiamato e d’essersi accertato che i soldi sono stati bonificati dal mio conto italiano. Con gli abiti da lavoro mi faccio i proverbiali 45 minuti di polvere e buche, arrivo in banca e ovviamente i soldi non sono stati ancora bonificati. Inutile arrabbiarsi con Bonniface: non saprò mai se non ha capito bene, se gli hanno dato un’informazione sbagliata o qualcosa di simile. Dovrei infuriarmi di nuovo, dato che sto togliendo ore preziose al lavoro, ma ne approfitto per comprare viti e ferramenta varia che mi occorrono per il cantiere. Le capriate le voglio assicurare con viti passanti e bulloni non con semplici chiodi.
Ritornato al cantiere si lavora alacremente fino alle 19.00. I pavimenti delle vecchie classi sono livellati e l´ala Sud è completata, inclusi gli architravi delle porte. Discutiamo con Bonniface e alcun altri insegnanti su come fare la cornice delle lavagne, nel frattempo già verniciate da Elik e Zakaiu (deformazione di Zaccaria). Si opta per una cornice sottile, in modo da non occupare superficie per scrivere, con una tavola in orizzontale in basso per appoggiare il gesso e la cimosa. Un poco di poesia in tanta polvere e tristezza. Chissà perché le lavagne mettono a tutti un gran buon umore. Questi enormi pezzi di compensato neri, pronti per essere riempiti di formule e di lettere, le tele dell´educazione scolastica, il posto dove si tematizza il Sapere.
Smantelliamo il tetto della vecchia costruzione e mi perdo con Robinson sulle diverse opzioni, se salvare la struttura o rifarla nuova. Il problema è che per rifarla interamente nuova occorrerebbero 500 euro in più e io sono fuori budget già di circa 700 euro, che ci rimetterò di tasca. Decidiamo di salvare la vecchia struttura e sollevarla alla stessa altezza dell´altra. La zoccolatura in muratura si farà in un secondo tempo se ci saranno soldi. La serata si conclude con riso e ratatouille. Sul materasso in terra e con i tappi nelle orecchie alle 21.30.


Venerdì 21 Agosto 2015 

 

Oggi abbiamo finalizzato il contratto per il pollaio. Dopo aver passato oltre due ore visionando alcuni piccoli appezzamenti di terreno, abbiamo optato per quello del sig. Mosses. Circa cento metri quadri di superficie a circa 100 metri dalla scuola, proprio lungo la strada dove tutti i bambini della scuola vanno e vengono per portare acqua dal fiume, speriamo ancora per poco… Il contratto lo abbiamo scritto a mano, ma è solo un preliminare: devo trovare il tempo per trovare su internet un contratto standard in inglese da stampare. Gli accordi sono: tre anni di contratto con rinnovo automatico e opzione per l´acquisto. Neanche venti minuti dopo la firma e dopo avergli dato 150.000 scellini (44,36 euro) per i primi tre mesi, ritorniamo con “l’armata nera”: il fido Tony, Hassan, Bonniface ed io, seguiti da Angela, Jennifer, Zakayo ed Elik. Tracciamo con pali e filo la porzione di giardino affittata e Tony incomincia a fare i buchi per i pali che sosterranno la rete. Il pollaio dista solo dieci metri dall´abitazione del Sig. Mosses e mi chiedo se sia ben conscio della puzza e di cosa possa significare avere cento galline a dieci metri dalla porta di casa. Tuttavia, ripensando ai roghi quotidiani e scoprendo altri pollai e porcilaie costruiti addirittura in adiacenza ad un lato della casa, mi rincuoro pensando che il sig. Mosses è fortunatissimo. L´unico problema che mi preoccupa è la capacità di Bonniface di gestire un pollaio. Ho cercato di spiegargli un minimo di economia, ma dubito che sarà capace d’avere un bilancio attivo del pollaio. Le uova qui si vendono a 300 scellini l’una e ipotizzando una media al ribasso di cinquanta uova al giorno su cento galline, potrebbe guadagnare circa 100.000 scellini alla settimana e utilizzare questi soldi per il mangime, mentre per le altre tre settimane potrebbe usare le uova per gli orfani e in parte per la cova. Ma sono sicuro che tra 4-5 mesi mi dirà che le galline sono diminuite, che non ha soldi per il mangime, ecc.. 

Più andiamo avanti in questo progetto più mi accorgo che i problemi qui sono profondissimi. Spero immensamente di sbagliarmi... Ritornati alla scuola, compare nel cortile Samuel, il guardiano notturno, incaricato da Bonniface di custodire il materiale edile durante la notte, contro i furti. Vorrebbe lavorare. Nessun problema: visto che Tony e Hassan sono impegnati con il pollaio, gli consegno una mazza e incomincia ad abbattere la vecchia struttura della scuola, quella in pali, costruita in fretta e furia da Bonniface ad aprile, dopo che un tempesta di vento  aveva abbattuto quella vecchia. In origine volevamo mantenere questa struttura, semplicemente modificandola, ma la necessità di ricuperare dei pali per il pollaio, l’impossibilità d’inserire una grondaia (1,9 metri l’altezza del tetto!) ci hanno convinto ad abbatterla. Oltre a questo, il fattore più importante sono stati altri 600 euro arrivati da vecchi e nuovi donatori che hanno consentito questo. Infatti, la zoccolatura in muratura, i madrieri, i listoni e le tavole vengono a costare quasi 600 euro.
Mancano sedici giorni alla partenza, alle volte un brivido di freddo mi attraversa la schiena: riusciremo a finire tutto in tempo? Qui non sai mai cosa può succedere e soprattutto non puoi fare affidamento su nessuno. Contiamo altri 700 mattoni dalla catasta che sta dietro la scuola, con il vicino che vigila. Questa volta spunto un prezzo più basso degli altri ordini: 150 scellini invece di 170. Li conta lui e noi li portiamo via. Ordino tutto il nuovo legname per questa nuova costruzione (circa 160 tavole e 60 tra listoni vari) e immediatamente ci mettiamo a costruire le fondazioni in mattoni. Non voglio perdere tempo, la pressione è altissima. 
Tra un lavoro e l’altro, iniziamo a realizzare anche le lavagne. Robinson taglia 28 listelli per le cornici ed insieme a Zakayo, Elik, Waswa e Angela incominciamo ad incollarle ed inchiodarle alle 7 lastre di compensato precedentemente verniciate di nero. La lavagna, una scuola.
Alle volte, cerco di liberarmi dai problemi legati al cantiere e a tutti i casini connessi e penso alla mia scuola elementare, alla mia infanzia, al sapere sconfinato del mio maestro Giuseppe Acone e di tutti gli altri insegnanti e professori che ho avuto la fortuna di conoscere. Non fare paragoni è impossibile.  Mi viene anche da ridere, pensando alle LIM in uso nelle nostre scuole, ma penso anche alla soddisfazione di questi bambini di 10-12 anni, che stanno passando le ultime 3 settimane della loro pausa estiva costruendo la loro scuola e addirittura le loro lavagne. Sono bravissimi e concentratissimi, come tutti i bambini di questo mondo. Gli spiego come misurare a palmi la distanza tra un chiodo e l´altro, come inchiodare, come posizionare il listello lungo il filo della lastra, come spalmare la colla. Il tutto sotto un caldo soffocante mitigato un poco dall´ombra dell’albero di mango e dell’avocado che ci fanno perenne compagnia nel cortile. Da oltre 10 giorni non piove più, e sinceramente ci mancano quegli improvvisi acquazzoni che cambiavano odori e colori di tutto. Bonniface dice che non pioverà più per alcune settimane. Adesso è davvero Africa. Mi dispiace che mia madre non sia potuta venire per via degli shock anafilattici, ma con questo caldo, sono contento che sia rimasta in Europa.
Approfittiamo delle ultime ore di sole per avviare anche la costruzione dei banchi con le panche per le aule. Non sapendo quale sia lo standard delle altezze faccio mettere tutti i vecchi banchetti in fila, scelgo quattro bambine di 5-6 anni e quattro bambini di 8-11 anni. E li metto a scrivere, seduti sui diversi banchi. Alla fine, dopo che i bambini stessi mi hanno detto quali siano i banchi più comodi, individuo le due misure standard e in base a queste incominciamo a tagliare le tavole. Con Robinson scegliamo le tavole più dure e pesanti. Sembrano Iroco, un legno pregiatissimo: un metro di tavola peserà almeno 10 kg. I bambini di questa scuola, tra le più povere di Kampala, avranno il privilegio di scrivere su un banco in legno che è un vero e proprio “oro vegetale”. Certo, si ritrovano con insegnanti che non sanno dove sono e cosa sono le piramidi, giusto per fare un esempio, ma questo è il livello degli insegnanti che Bonniface si può permettere. 
Una donatrice di Roma mi chiede se servano cartine geografiche, libri o cose simili: si, servono come l´aria. I bambini sono affamati di sapere e se avessero da leggere starebbero sempre attaccati ai libri. Il paradosso è che adesso, anche se di sera hanno la luce nel dormitorio, non hanno nulla da leggere. Di certo qui non arriva “Topolino” o “Focus Junior”! 
Che carini i bambini: ieri ne ho visto due che si trascinavano a vicenda sopra una specie di slitta ricavata da un bidone dell´acqua tagliato in due, con una corda attaccata. La polvere delle strade bianche alle volte può essere utile allo scorrimento. 
La giornata si conclude con Victoria che distribuisce sette paia di giapponesine ad alcuni orfani che negli ultimi giorni andavano in giro perennemente scalzi. La cosa buffa, o forse triste, è che alcune bambine volevano il numero più grande, dato che sapevano che lo avrebbero potuto usare più a lungo, vista la crescita del piede, e visto che sarà difficile che nel breve periodo un altro “bianco” venga a Kibiri a regalare ciabattine. Lo spirito di sopravvivenza assume molte sfumature. Costo di un paio di esse: 1,18 euro. Concludiamo la giornata con alcune lezioni di galateo. Qui in Uganda la mano si stringe in tre movimenti: 1) classica stretta, 2) traslazione palmo-pollice, 3) ritorno alla stretta classica. Quasi un massaggio reciproco, una fusione di pelle.


Sabato 22 Agosto 2015

Oggi arriva il penultimo carico di legname. Anche in questo caso il ricatto della misurazione di ogni singola tavola è implacabile e ha i suoi pregi: tutte le tavole sono superiori ai 3.05 metri. Un trionfo! Con Immanuel e Godfrey contrattiamo i costi di ogni singolo trasporto. Fino ad ora mi hanno fatto pagare 70.000 scellini a viaggio (20.70 euro) e gli dico che è un prezzo da “muzungu” (da bianco). Occorre fare ancora 2 viaggi. Gli dico che se trovo un trasportatore che mi prende 50.000 scellini non comprerò da loro la legna che ancora occorre per la scuola. Gli dico che è una vergogna e che in Europa per un cliente come noi, almeno un paio di viaggi dovrebbero essere gratuiti. Confabulano e convengono che gli ultimi 2 viaggi saranno gratuiti. Bonniface li riaccompagna a Kibuye per prelevare soldi dal Bancomat e pagare questa fattura. Mando sempre lui, dato che non voglio togliere ore di lavoro preziose al cantiere e dato che non mi va di respirare tutta quell´aria inquinata di Kampala. 
Tony e Hassan lavorano alacremente alle fondazioni. Domani è domenica e vorrei veder tutti i muri in legno finiti. Con le tavole precedentemente tagliate e squadrate da Robinson cronometro quanto tempo impiego a costruire un banco di scuola con annessa panca: circa 1 ora. Uso viti e colla e mi accorgo che neanche Robinson aveva mai visto un trapano, né tantomeno un trapano avvitatore che ti spara le viti dentro il legno. I bambini, come al solito, sono estasiati e devo tenerli lontani dall´interruttore dato che tutti vogliono accendere questa strano aggeggio che fa girare una punta.
Questa prova è importante, dato che nel caso non riuscissi a trovare il tempo per costruire 22 banchi entro il 6 Settembre devo assicurarmi che Robinson impari bene e soprattutto, dato che lo pagherò a corpo, devo fare il calcolo delle ore che occorrono, non uno scellino di più. Quando saremo andati via le dinamiche legate al denaro cambieranno radicalmente. Ma Robinson è onestissimo e so che farà tutto quello che gli chiederemo, anche perché il soldi gli arriveranno solo a lavoro fatto con tanto di foto che lo attestino. Ma riusciremo a farle prima. 
Robinson vorrebbe diventare medico e vorrebbe venire con noi in Europa per guadagnare i circa 18.000 euro che servono per i 6 anni di Medicina qui in Uganda. Cercherò di aiutarlo in ogni modo.  Robinson è forse il personaggio più interessante di questa micro-comunità. 20 anni, media statura, un bel viso, ottimo Inglese, intelligentissimo. Alla domanda “perché fai il carpentiere-falegname?”, mi dice “no money in the family” (niente soldi in famiglia). Come tutti, viene a lavorare in ciabattine e spesso gli pesto i piedi con le mie scarpe da lavoro con tanto di punta rinforzata. Gli chiedo perché non calzi un altro tipo di scarpe e Victoria mi dice che ho fatto una figuraccia: come troppi qui, anche lui si può solo permettere queste scarpe e al massimo un paio di mocassini lucidi per la messa alla domenica. 
La mia scarpa posta sul suo piede nudo mi rimanda al divario tra le nostre culture e mi ritornano alla mente tutte le teorie sul perché nell'Africa nera, lo sviluppo (e parlo degli ultimi 2.000 anni) non sia stato così veloce come in altre parti del mondo. Il tutto ha a che fare con la fertilità del terreno, con il clima, con le piante commestibili, con il tipo di animali presenti, con la capacità, spalmata nei millenni, di poter avere e conservare più cibo e quindi energia per domare e mutare l’ambiente, fare guerre, conquistare e aggregare vaste tribù, costruire sistemi sociali ed economici complessi, creare burocrazie, eserciti forti, Stati ecc.. Noi Bianchi c’entriamo relativamente poco con il differente grado di civiltà rispetto all’Africa nera. Le ragioni vanno individuate molto prima della nostra colonizzazione. 

Robinson ci racconta che qui se ti ammali e non hai soldi semplicemente muori. Se ti spezzi una gamba e non hai soldi per fartela ingessare, te la tagliano, oppure rimani storpio a vita. Con queste considerazioni in mente e pensando alle nostre assicurazioni che abbiamo fatto per questa permanenza in Africa, dove in caso di incidente verremmo trasportati nelle migliori cliniche per ricchi di Kampala, apprezzo ancora di più questi collaboratori che rischiano continuamente in questo cantiere, arrampicandosi sulle strutture, tagliando le tavole, portando pesi ecc., con il rischio di ferirsi in ogni momento. 
Lavoriamo sodo alle varie strutture, in particolare la cucina. Manca la luce alcune volte e mi viene la paura di black-out prolungati che possano bloccare il lavoro per giorni. Senza la sega circolare e il trapano tutto si bloccherebbe immediatamente. Il rumore della sega circolare, insieme alle canzoni cantate con voce piena e corposa da Robinson, sono la colonna sonora di questo cantiere. I bambini fanno a volte da protagonisti, a volte da comparse in quest’opera. Alle volte spariscono tutti, vanno nei loro letti a castello o sul soppalco, giocando a carte o semplicemente chiacchierando e ridendo; altre volte stanno in qualche angolo del cantiere alle prese con pezzi di tavola, chiodi e martello che cercano di farsi dei piccoli sgabelli o tavolinetti. Le bambine stanno tra loro a giocare con pietruzze e fango, poggiano un pezzo di tavola e improvvisano una bancarella, giocando al mercato. Spesso giocano di fronte alle cinque tombe dietro la scuola, forse il posto con la migliore vista sul lago di tutta la zona, accarezzate dall´ombra di due manghi, miracolosamente ancora non tagliati. 
La giornata si conclude con una telefonata di Bonniface attorno alle 20,00: mentre andavano insieme a Emmuael e Godfrey a Kampala, un’ambulanza si è scontrata frontalmente con il loro taxi-minivan. L’autista e gli altri tre passeggeri in prima fila si sono tutti spezzati le gambe. Il minivan non ha un cofano e gli scontri frontali sono letali. Li hanno dovuti tirare fuori con le cesoie e sono stati tutti trasportati all’ospedale. Bonniface se l’è cavata con una piccola escoriazione alla testa: fortunatamente sedeva nella seconda fila, benché gli avessero offerto di stare nella prima. Lessi da qualche parte (credo che fosse una Rougth Guide o una Lonely Planet), che il posto più sicuro per viaggiare in un minivan sono i posti centrali, sia rispetto alle due fiancate, sia rispetto al muso e alla coda del veicolo. In questo modo, in caso di incidente o di rovesciamento, le persone attorno a te fanno da cuscinetto e, sempre se il veicolo non prende fuoco, si hanno più possibilità di salvarsi. Bonniface mi dice “It was God who saved me” (Era Dio che mi ha salvato). Evito di chiedergli perché Dio si sia accanito invece contro i poveri quattro che stavano in prima fila e che adesso sono in un calvario, e chissà se riusciranno a trovare con prestiti, pegni e risparmi i circa 2 milioni di scellini che occorrono per ingessare una gamba (sempre che non ci sia da operare). Tenendo conto che la paga mensile qui non supera i 200.000 – 300.000 scellini, è come se un Europeo medio-povero dovesse tirare fuori di colpo, in pochi giorni circa 1.500, 2000 euro. Sarebbe potuto succedere anche a noi e sinceramente uno dei motivi per spostarsi il meno possibile qui è appunto per evitare questi rischi. 
A letto alle 22.00, dopo una riuscita tempura di Victoria, impanata con farina di cassawa.

 

Domenica 23 Agosto 2015

Oggi abbiamo lavorato dalle 9.00 fino alle 19.00 senza interruzione.  C’è poco da raccontare dato che il lavoro è stato così intenso e spasmodico che il tempo è volato. Samuel, Bonniface, Victoria, Robinson ed io abbiamo completato tutte le pareti esterne della cucina, comprese le travi per il tetto.  Adesso occorrono solo le lastre del tetto, il completamento della cucina economica, lo scarico del lavello, i ripiani, il pavimento e la porta. Siamo stanchissimi perché ha fatto un caldo opprimente. Tuttavia, l’aver completato la cucina, ci mette al riparo da ritardi nel completare tutti gli altri lavori. Adesso, il conto alla rovescia dei 15 giorni non ci fa più paura.
La serata si conclude con lezioni di Spagnolo, in particolare con i congiuntivi e con spiegazioni dettagliate su come fare la tortilla e sul significato profondo della Corrida (!?) e in generale del toro nella cultura spagnola. Hasta luego.

 


Lunedì 24 Agosto 2015

 

Oggi abbiamo eretto il 50% dei muri in legno del corpo centrale della scuola, praticamente tutta la facciata che dà sulla strada. Tony non è venuto quindi abbiamo rimandato a domani alcuni lavori. Samuel, che si sta dimostrando un ottimo aiutante, sdrammatizza le mie preoccupazioni in merito ai lavori raccontandomi come 20 anni fa, quando ancora “andava a scuola”, la sua scuola era l’albero di mango più grande del villaggio sul quale si inchiodava un pezzo di compensato verniciato di nero (o di altri colori) come lavagna e seduti per terra si faceva lezione. Alle mie preoccupazioni sulle altezze dei banchi risponde che il suo banco, per quanto lui ricordi, è sempre stato le sue due cosce. Mi dice cha la scuola che stiamo costruendo in tavole e listoni di legno, è “very good”. Mi rilasso un pochino.
Durante la giornata abbiamo avuto un piccolo problema con i chiodi (Abdul era sparito e abbiamo perso mezz’ora), poi verso le 16.30 è mancata l’energia elettrica imponendoci di concludere i lavori in anticipo. Confesso che adesso la preoccupazione principale è il tempo. Due carpentieri che sarebbero dovuti venire oggi, non sono venuti. Alla mia telefonata hanno risposto d’aver trovato un lavoro a Kitgum, una cittadina del Nord. Mercoledì dovrebbero arrivarne altri due. Il problema è che, come mi confermano tutti, che altre braccia non significano necessariamente un’accelerazione del lavoro, dato che qui sono poche le persone che sanno fare bene il lavoro. Nessuno, tra i vari carpentieri contattati, ha mai preso in mano un trapano, una sega circolare o ha mai lavorato con viti e bulloni. Certo, tutti possono imparare, ma non a meno di 15 giorni dalla partenza, con circa 109 metri quadri di tetto da coprire, distribuito su 4 corpi di fabbrica. Per non parlare poi delle porte e delle finestre. Almeno 5 i falegnami contattati: o ti fanno prezzi incredibili o ti accorgi che sanno fare ben poco e non sanno fare quello che desideri. E se più o meno tutti riescono a fare delle porte, nessuno qui ha mai visto una finestra in legno. Qui le finestre, quando si sono, sono in metallo e mai in legno. E spesso le finestre non hanno nemmeno il vetro, sono giusto un’anta con delle sbarre laterali per evitare le intrusioni. 
Certo, riusciremo a fare tutto, ma il “fattore umano”, in questo caso la professionalità locale è la maggiore incognita. A questo si aggiungono i black out frequenti, che impediscono di tagliare le tavole e i listoni con la sega circolare, e l’approvvigionamento dell’acqua per impastare il cemento: alle volte c’è una fila enorme di altri bidoni, di fronte al serbatoio del vicino dal quale ci riforniamo, alle volte lo stesso serbatoio è vuoto, dato che con i frequenti black out la pompa non può funzionare. Altre volte ancora non c’è proprio acqua, dato che è stata consumata tutta quella disponibile in fondo al pozzo e occorre aspettare affinché la vena acquifera lo ricarichi. A questo si aggiunge il fatto che, benché lo ripeta in continuazione, i miei colleghi di lavoro non lo prevedono e mi informano che l´acqua è finita solo quando è proprio finita e non quando sta per finire. Questo capita anche con il cemento, i mattoni e la sabbia. E questo si traduce in pause di lavoro in attesa che arrivi il materiale. Queste cose non le avevo messe in conto.
Inoltre Victoria oggi è stata malissimo tutto il giorno. Si è ritrovata sul suo cuscino una zecca che passeggiava e una volta schiacciata ha dubitato che quello fosse proprio il suo sangue. Bonniface si è incaricato di andare a Kampala per comprare antibiotici e termometro. Gli hanno dato le classiche pastiglie per la malaria, dicendogli che “vanno bene anche per le punture delle zecche”, ma da una lettura attenta del bugiardino questo non risulta affatto. Fortunatamente non aveva febbre e si è ripresa il giorno dopo. Il fatto è che spesso qui in casa entrano i bambini dell’orfanotrofio che passano tutto il giorno in terra e si siedono sui nostri materassi. A proposito, un medico incontrato nella Bussabaala Road mi ha detto che tutti i bambini andrebbero “sverminati”, e che “sicuramente è questa la causa di tanta magrezza”. Prendo per buona la sua diagnosi solo in parte, una risposta forse più politica che scientifica.  
Ivan è ritornato con il suo aiutante per completare la cucina. Siamo un po’ delusi, dato che ci sarebbe piaciuto avere la cucina funzionante per il 6 Settembre, cosa non possibile, dato che il cemento deve asciugare per circa 15 giorni. Conti alla mano la cucina si potrà utilizzare solo dopo il 10 Settembre. Pazienza! Immaculate dovrà continuare a cucinare con tre pezzi di pietra sul pavimento, e anche noi dovremmo cucinare spaghetti e tortillas per la fesa finale in terra, alla maniera africana. Ivan spiega il motivo della sua pausa: il suo aiutante ha perso il padre, 75 anni, investito da un camion mentre viaggiava a bordo della sua moto. Come di consueto, essendo Kampala una città d´emigrati da altre regioni, sono dovuti andare in uno sperduto villaggio dell’Ovest, al confine con il Congo, per i funerali. Anche Aisha, tra le bambine più simpatiche e intelligenti della scuola, 11 anni, è dovuta partire per il Nord, per via di un altro funerale. Da quando siamo qui, questo è il quarto funerale di parenti di nostri conoscenti. Oltre a quello mancato per un soffio di Bonniface. 
Intanto la vita dei circa 20 orfani rimasti qui per la pausa estiva (gli altri sono stati inviati dai parenti) prosegue come sempre allegra e noiosa. Una pena infinita ci arrecano due bambine, rispettivamente di 6 e 13 anni, che stanno quasi sempre a letto o quando sono in piedi sono sempre assonnate: hanno entrambe l´AIDS. Il pensare che un giorno Bonniface possa comunicarci che se ne sono andate, ci riporta costantemente alla durissima realtà di questo luogo. 1,2 milioni di bambini in Uganda sono “orfani dell´AIDS”, ovvero hanno genitori con l´AIDS o morti di AIDS. Al confronto le mie preoccupazioni sul fatto di riuscire o meno a costruire solo 5 porte invece di 9 prima della partenza sono inezie.
Durante i lavori, e questo avviene ogni giorno, le persone del villaggio che passano e vedono i lavori in corso si fermano e ci dicono “Good job, Sir” (“Bel lavoro, Signore”). L’intera comunità osserva questi due “bianchi” che si adoperano nel cantiere e alle volte alcuni genitori inviano i loro bambini di 10-14 anni a darci una mano. Altre volte i passanti si fermano per radiografarci, più interessati al nostro colore della pelle, ai vestiti e soprattutto alle scarpe differenti, rispetto a quello che stiamo costruendo. Sapevamo che l’aiuto da parte degli adulti locali sarebbe stato inesistente. Nessuno ha tempo, impegnati a sbarcare il lunario alla meglio. 
La giornata si chiude con la costruzione di un tavolo da cucina, tagliato, montato ed inchiodato in 10 minuti. Certo, avrei potuto farlo 20 giorni fa, ma in parte ci siamo africanizzati pure noi…  I nostri colleghi africani sono attoniti, non riescono a comprendere come mai noi “muzungus” abbiamo bisogno di un tavolo per tagliare, preparare e cucinare il cibo, stando in piedi. Gli spieghiamo che non siamo abituati a fare tutto in terra e a mangiare con i piatti per terra. Davvero due culture.
Stamattina osservavo Immaculate che come al solito lavava i vestiti dei bambini. Li lavava nella solite bacinelle per terra, proprio a fianco al lavabo in cemento che ho costruito 10 giorni fa. La norma dice che se un manufatto, un’invenzione non viene usata, ciò significa che non funziona o non è pratica. Le chiedo perché non usi il lavabo (posto a 75 - 80 cm di altezza): mi risponde che è “troppo alto e le fa male la schiena se ci lava dentro”. Lei è alta 1.70 ed è abituata a lavare e cucinare per terra, con la schiena curva e con le gambe dritte. Le chiedo se preferisce che glielo abbassi e annuisce. Prove biunivoche di interculturalismo o forse una enorme perdita di tempo?
Grazie al nuovo tavolo alto 80 cm il cibo che prepariamo ha forse meno germi e polvere, ma a che pro? Fino ad ora nessun tipo di diarrea, nulla, degli orologi... Il nostro stomaco si è formato qui in Africa circa 3 milioni di anni fa, perché dovremmo avere paura di non digerire tutto? Alla fin fine siamo qui nella nostra Terra materna…
A letto alle 21.00, come al solito, dato che mi sveglio sempre alle 5.45 per riuscire a scrivere questo diario con un minimo di calma.  Victoria va a letto più tardi, dato che cerca di tenere il passo con il suo blog in spagnolo e con tutti i vicini che si addensano di fronte all’uscio di casa, per chiacchierare, mangiare e semplicemente osservare una donna bianca che cucina, cuce o scrive al computer. Qui siamo noi ad essere l’attrazione, esattamente come nel ‘700-´800 alcuni saltimbanchi europei (ma credo anche alcuni antropologi), andavano in giro a mostrare, chiusi dentro gabbie, gorilla e “negri”, alle fiere o alle feste paesane.

 

Martedì 25 Agosto 2015

 

Oggi giornata dura: abbiamo completato la parte anteriore del corpo centrale della scuola. Il lavoro ha preso molto tempo, dato che occorreva creare tutte le aperture delle 4 porte e dato che la posizione dei pilastri non corrispondeva né alla posizione delle porte, né alla scanalatura delle fondazioni. Inoltre, il desiderio di avere un’unica falda, ha richiesto incessanti misurazioni degli angoli di 90° e dei vari livelli. Se tutto si deve fare con una sola scala e con persone che non hanno mai costruito una casa in legno, per quanto possano essere bravi, è un problema. Inoltre, nonostante le mie precise indicazioni date a Tony, alcune sedi dei pali sono sfalsate, così come alcuni angoli delle fondazioni, ragion per cui devo fare i salti mortali per avere l’intera struttura in legno a piombo e in squadra. Oltre a questo, gli aiutanti a volte si addormentano, non riescono a seguire il lavoro, non ne capiscono le sequenze, mi tocca ripetere sempre tutto di nuovo ogni volta, benché il lavoro sia sempre lo stesso: si punta il pilastro, si fissa provvisoriamente con un chiodo al trave, lo si mette a piombo, si pratica il foro con il trapano, si inserisce la vite, le rondelle e il dado, si ripete lo stesso per l’altro lato. Poi si prende la misura della luce tra un pilastro e l´altro, si tagliano le tavole e le si inchiodano ai due pilastri per formare un’altra porzione di parete. Il fatto è che ogni tavola ha solo un lato dritto e quindi occorre sempre stare attenti, metterla a livello o prendere la misura in modo che si proceda per piani paralleli. Alcune di queste tavole poi, non stagionate, si torcono nel giro di 2 giorni, tanto che ne abbiamo dovuto cambiare alcune. 

Lavorare all´altezza del colmo è un problema; la “scala” è fatta di tronchi di Eucaliptus, e sono contento di pagare i circa 4,5 euro al giorno a Samuel affinché me la sposti in continuazione e me la tenga ferma quando ci salgo sopra. Non gli chiedo altro. Non è possibile acquistate una scala a forbice in alluminio, non ne ho visto da nessuna parte. Inoltre, dato che non ci sono i soldi e non ci saranno per stendere i pavimenti, si lavora sempre sulla terra, irregolare e questo rende tutto più disagevole. Per non parlare dell’ordine nel cantiere, praticamente quasi impossibile da mantenere, dato che nonostante i nostri continui richiami e la nostra propensione a rimettere gli utensili sempre nello stesso posto, i nostri colleghi e spesso i bambini, che gironzolano per il cantiere, li prendono e li spostano in continuazione. Lavorare in queste condizioni è stressantissimo. Ci ridi sopra per non esplodere.

Domani arrivano 2 carpentieri, Bonniface me lo ha assicurato. Staremo a vedere, già prevedo persone che ti dicono di saper fare una cosa e poi ne sanno fare solo un´altra, che a te non serve. La legge di Murphy qui si annida in ogni cosa. Verso le 11.00 vedo che arriva un SUV-Pick-Up con almeno 6 persone, 3 uomini e tre donne; le gli uomini in camicia bianca e cravatta e le donne in tailleur. Alcuni di loro entrano nell’ufficio di Bonniface. Scendo dalla scala e mi avvicino a loro. Provocatoriamente gli chiedo se siano “Tax Officers” (Ufficiali delle Imposte), oppure “Politicians seeking for votes” (politici in cerca di voti); mi dicono che sono dei Community Developers (sviluppatori/facilitatori di Comunità). L´adesivo sulla portiera dell’auto riporta “Finance Trust Bank”. Chiacchiero amabilmente per circa 5 minuti con alcuni di loro e poi mi allontano. Pochi minuti dopo sento delle urla: è Bonniface che per la prima volta sbraita come se fosse un latino. Lo vedo accerchiato dagli “sviluppatori”. Riscendo dalla scala, chiedo che succede: sono in realtà gli addetti alla riscossione della banca che stanno facendo un “giro” in questo settore della città per recuperare tutte le insolvenze dei vari debitori. Bonniface è uno di essi. Vedere un uomo come Bonniface senza un soldo e con decine di problemi e responsabilità, attorniato da 6 esattori che se lo stanno scannando vivo, è un qualcosa di conosciuto che ho visto tante volte in Italia e che forse si perde in ere bibliche, dal tempo degli Assiri e Babilonesi, in cui i debiti vanno sempre pagati. E´ una specie di morte in vita, una tortura. Provo una pena infinita, sembra quasi un processo sommario, prologo di un’esecuzione. Lui urla, gesticola, si mette le mani in testa, mentre i 6 facilitatori a turno o insieme, in particolare le donne, gli urlano in faccia. Chiedo a uno di loro a quanto ammonti il debito: 130.000 scellini: 38,45 euro. Mi avvicino a Bonniface, gli metto una mano sulla spalla, me lo tiro in un angolo del cortile, gli do la mia carta di credito e gli dico di andare insieme a loro nel primo Bancomat, prelevare i soldi e pagare. I facilitatori capiscono quello che accade. Gli dico che non ci sono problemi, si placano un poco anche se continuano a parlare animatamente. Bonniface urla alla signora più inviperita: “Now I will pay my debt, do you get it? (Adesso ti pago il debito, hai capito?). Gli offrono di salire in auto, ma lui fa il chiaro gesto di doversi prima cambiare. Scompaiono tutti. La moglie mi ringrazia, i bambini sono tutti in un angolo, muti e fermi. Zakaiu, da me incaricato di scattare foto di nascosto col cellulare, durante tutta la scena, mi mostra le foto. In una si vede la disperazione nel volto di Bonniface.

Ritorniamo al lavoro. Ma la giornata ha ancora uno scossone degno di nota. Mentre mangiamo (questa volta solo posho e delle erbette, nessun riso, niente fagioli), Judith, mentre saltava da un letto a castello all’altro, cade e si provoca una profonda ferita alla gamba sinistra poco sotto il ginocchio, le si vede la carne viva. Victoria lascia immediatamente il piatto e si mette a correre, va in casa, preleva la sua farmacia portatile e si precipita con disinfettante, garze e cerotti sulla bambina. Immediatamente ci accorgiamo che la ferita ha bisogno di punti e che deve essere portata all’ospedale d’urgenza. Bonniface è appena rientrato da Kampala, ha prelevato circa 100 Euro per pagare il debito con la banca e gli rimane il resto. Mentre me lo dà gli dico di tenerlo e di partire immediatamente con Judith per l’ospedale. Qui tutto si paga e fortuna per Judith che siamo qui, diversamente si sarebbe dovuta accontentare dell’onnipresente boccetta di mercurio cromo scaduta, che Bonniface mette su tutte le piccole ferite dei bimbi. E forse non sarebbe bastata. Non osiamo pensare a quello che sarebbe stato se non ci fossimo stati. La ferita non ha toccato i tendini quindi la bambina può camminare. La cosa che lascia esterrefatti Victoria e me è che, a parte i rimproveri di rito, Judith non viene accompagnata da Naknja, la madre, in ospedale. Ci va Bonniface insieme ad Angela, la 15enne tuttofare che un giorno prenderà il posto di Madame Immaculate. Perché una madre non accompagna all’ospedale una sua figlia con una ferita così grave? Bonniface ritornerà dopo 2 ore. La madre guarda con superficialità la benda sulla ferita e poi si mette a guardare nel vuoto o noi che lavoriamo. Non una carezza, non un abbraccio, neanche un dito per asciugare le lacrime sulle gote della figlia. Hassan mi dirà alcuni giorni dopo che non l´hanno picchiata solo perché noi eravamo presenti. È lo stesso tipo di educazione che si dava in Europa 40 anni fa e che ancora si incontra tra le fasce più povere e ignoranti. Ti fai male giocando e i tuoi genitori ti picchiano o vorrebbero picchiarti. Che mondo di merda!

Elik con in mano il piatto di posho lasciato dalla sorellina ferita non le chiede se ha fame, né tenta di convincerla a mangiarlo, benché le diciamo che debba mangiare qualcosa, prima di inghiottire degli antibiotici da cavallo. Il suo posho infatti se lo mangia lui. La fratellanza in certi casi passa in secondo piano rispetto alla fame. La ferita è stata chiusa con 4 punti interni e 6 esterni. Il costo dell´intervento nella “Kibiri Medical and Maternity Centre” è stato di 33.000 scellini, 9,70 euro.

Quattro ore prima lo stesso Bonniface era disperato per non sapere come pagare un suo dedito di 38,45 euro. Povero Bonniface e soprattutto poveri figli di Bonniface e poveri orfani. Come avrebbe fatto senza di noi, aiutato solo dal mercurio cromo scaduto e dal cerotto fissa-garza, applicato direttamente sulla ferita, come di solito fa? E come farà quando ce ne andremo? Victoria già ieri ha passato almeno 2 ore a piangere, pensando alla situazione che ci circonda. Spero che stasera resista.

La serata si conclude per me alle 21.00, dopo alcuni spaghetti e la notizia che Phoebe la nostra vicina di 18 anni ha trovato un posto come praticante in una fabbrica di vernici. Le danno 1 euro al giorno. È molto contenta. 

 

 

Mercoledì 26 Agosto 2015

 

Oggi, dopo quasi 15 giorni di siccità, il cielo si è annuvolato, si è caricato di nero e ha piovuto. È stata una liberazione dopo gli ultimi 15 giorni d´arsura: finalmente dell’acqua a spegnere un poco questo caldo e soffocare un poco la polvere rossa; dell’acqua per raffreddare alcune insofferenze personali che inevitabilmente emergono, quando si ha a che fare con persone che hanno solo in testa di portarti via tutti i soldi che hai e sei costretto a contrattare il prezzo di ogni singola vite, chiodo o pacco di pane che sia.

Il lavoro ci ha preso così tanto che spesso dimentichiamo di essere in Africa, ma quest’acquazzone che ti impone di sederti sotto qualche riparo e vedere la natura all’opera, ti ripresenta la dimensione geografica e culturale in cui ci troviamo: linea dell´Equatore a meno di 2 Km di distanza, circondati da alberi di banane, mango e avocado, il profilo del Lago Vittoria con il suo skyline di isole e isolette, quasi delle colline verdi che galleggiano sull’acqua come fondale di questa storia, e poi loro, i nostri confratelli e consorelle africani, neri, diversissimi; caratteri e culture come orbite ellittiche, a volte vicinissimi, a volte sconosciuti e distanti milioni di anni luce, legati sempre tuttavia da un’attrazione indissolubile.

La pressione per concludere tutto in tempo è enorme, e non faccio che pensare ad altro. Tengo sempre in mente tutte le donazioni, ricordo al centesimo quanto ogni donatore ha versato, conosco la situazione di moltissimi di loro e di moltissimo conosco il loro carattere e cosa direbbero su ogni passo che qui facciamo. Insieme a Victoria abbiamo la coscienza pulita, stiamo costruendo “il massimo indispensabile” (recitando lo slogan di uno spot della Mercedes) con i soldi dati: un tetto che non perda, un letto, un materasso, l’acqua, l’energia elettrica, della aule, dei banchi, una cucina degna di questo nome, per lo meno per gli standard africani, delle altalene per i bambini, le lavagne. Ma manca tutto il resto, manca tutto l’immateriale, manca tutto il Sapere che abbiamo in testa e che non avremo il tempo di trasmettere, qualcosa che non ha bisogno di donatori o soldi, ma solo di tempo: di qualche generazione…

Che bello sarebbe se una volta conclusa la scuola, altre persone dopo di noi venissero qui a insegnare qualsiasi cosa e ad avere la pazienza che gli alunni e gli stessi insegnanti imparino. Qui non si studia, non studia nessuno, lo stesso Inglese degli insegnanti è penoso, non si sa nulla di nulla ma tutto va bene. Già poderose lezioni di Igiene sarebbero un toccasana per tutti, in particolare contro le infezioni intestinali. E poi Geografia, Geografia e ancora Geografia, terrestre e astronomica. E Storia, Storia dell’Africa, non sanno nulla di nulla. Ma sanno sorridere e sanno come non perdere mai la calma. Che cosa darei per entrare nell’intimo del loro linguaggio e metalinguaggio, nel capire come contrattano, che elementi usano per comporre un dissidio o chiudere un affare. Una grande pace sembra che regni nelle loro anime, un basso continuo di serenità sembra salire dai loro occhi e sguardi. Adesso mi arrabbio meno per la lentezza degli operai durante i lavori: è il ritmo africano, ben diverso dai ritmi convulsi del loro “Africa bit”, segue altre portanti.

Robinson si sta rivelando un ottimo falegname, ha accettato la mia sfida e ha costruito, aiutato da Madame Henriette, ben 10 banchi per la scuola. Anzi, mi prende in giro, dato che il banco-prova costruito da me, presenta un lato non perfettamente a 90° gradi. Mi dice che non sono abituato a lavorare in terra e ha ragione. Eduard e Matthias mi danno una mano fondamentale nel completare le strutture in legno delle aule. Tiriamo tutte le lenzate e le livelliamo, tagliamo le punte di tutti i pilastri in legno, completiamo l’avvitamento di tutte le travature, posiamo molti listoni sui quali si andranno a inchiodare le lastre di copertura. Finché non si posa il tetto non posso tirare nessun sospiro di sollievo, sono tesissimo, stressantissimo e già so che questa settimana sarà quella determinante, la più dura.

Scendo al villaggio da Abdul, compro tutte le curve e i tubi per la cucina. Nel frattempo Tony e Hassan hanno già fatto i livelli del pavimento, l’unico nuovo ambiente che avrà un pavimento in cemento lisciato. Arriva anche Ivan, che porta i tre tubi di scarico della cucina economica.  Verso le 12.00, le tre “macchine umane” che scavano il pozzo si fermano, il capo viene da me con una zolla di terra in mano e mi mostra piccole tracce di argilla dicendomi che “we are close on the water” (siamo vicini all’acqua). Forse ancora 3 giorni, forse una settimana. Che bello sarebbe trovare l’acqua prima della partenza. Ho un piccolo breakdown, mi sono dimenticato di fare la pausa delle 11.00 e bere del porrige e vado in ipoglicemia. Così mi sdraio su una delle tombe che giacciono dietro la scuola, da cui si gode il miglior panorama di tutta l’Uganda sul Lago Vittoria. È l’unico posto ombreggiato, silenzioso e pulito di tutta la zona. I bambini mi guardano attoniti e così anche alcuni insegnati. Il problema non è “il rispetto per i morti” (sicuramente i parenti del defunto non sarebbero contenti nel vedermi dormire sulla sua tomba), quanto il fatto che non abbia paura a dormire sopra una tomba, vicino e in mezzo ai morti. “Why should I be scared, they are dead anyway” (perché dovrei aver paura, in tutti i casi sono morti) gli rispondo. Che strani questi Bianchi…

Hassan, l’insegnante di Biologia, spiana il terreno nelle 4 nuove classi. Purtroppo i soldi non basteranno per pavimentarle ma come minimo si potrà fare lezione in orizzontale! Nel frattempo Victoria e Bonniface sono partiti per Kampala alla ricerca di un serbatoio per l’acqua e 14 materassi. Victoria è cattivissima nelle contrattazioni, più cattiva di me, e benché più di una volta l’abbia trovata nascosta in qualche angolo del cantiere a piangere, pensando alla povertà e abbandono degli orfani in questa realtà, quando di tratta di tirare sul prezzo è come Zio Paperone. Ogni acquisto dura ore. Per i materassi dopo l’intransigenza del primo rivenditore a fare un prezzo di favore a misura d’orfanotrofio, il secondo incontrato direttamente nella fabbrica “Eurofoam” si sintonizza immediatamente con la Bianca spagnola: Victoria vede il simbolo dell´Om, tatuato sulla mano destra di Mr. Jmes, un Indiano, e gli dimostra subito la sua spiritualità orientale e conoscenza. Tiene una piccola conferenza sul significato dell’Om ai vari presenti nell’ufficio, elevando Mr. Jmes nei pressi del Nirvana. Il ghiaccio è rotto nel migliore dei modi. Gli indiani, prima della cacciata generale da parte del dittatore Amin a metà degli anni ´70, erano la spina dorsale dell’economia ugandese. La loro cacciata significò il crollo economico del Paese, dato che moltissimi Africani non avevano né le capacità né le conoscenze per sostituirli. Dopo la caduta del dittatore molti di loro sono ritornati rioccupando posti importanti nell’economia locale. I materassi che desideriamo sono larghi un metro, misura fuori norma ma indispensabile dato che, nonostante le nostre raccomandazioni, anche sui letti a castello si continuerà a dormire in 3-4 per letto, e 20 cm in più rispetto alla larghezza standard di 80 cm sarà importante per il sonno dei bimbi. Abbiamo imposto a Bonniface di non far dormire più di due bambini per letto, ma saranno parole al vento. L’abbiamo anche minacciato di inviargli un “school inspector”…

I bambini e le bambine danno la quarta mano di vernice alle 7 lavagne, anche Maria affetta da AIDS vernicia di gusto; oggi ha un poco di forze e non passa tutto il giorno a letto. Vedere i bambini che verniciano le proprie lavagne crea una tenerezza sconfinata e pratica un flebile graffio nell´infinito muro di pessimismo della mia anima. Penso alla frase di Martin Luther King: “Anche se domani il mondo dovesse finire, io oggi pianterei un albero”. Poi però continuo a pensare che se realmente domattina il mondo dovesse finire, non perderei certo tempo a piantare alberi, mi affollerei anche io nelle caotiche code che si formerebbero ai boccaporti delle navicelle spaziali in partenza per qualche altro pianeta o, in mancanza di esse, dopo essermi congedato dai miei cari mi lancerei in qualche rito orgiastico-apocalittico, consumando tutti i tipi di droghe e alcool conosciuti, in modo da crepare senza soffrire ma mantenendo un minimo di coscienza per vedere, in prima persona, “come va a finire”!

Al ritorno da Kampala Victoria ha una sorpresa per i bambini: tira fuori dallo zaino 4 DVD di cartoni animati, mette il mio computer portatile sul davanzale della finestra dell’ufficio di Bonniface, dispone 3 panche di fila e gli regala la prima serata di home video della loro vita. I bambini guardano assorti i cartoni animati e noi ci divertiamo a guardare le espressioni di meraviglia dei loro volti. Un pedagogista qui avrebbe da studiare per giorni e giorni. Nessun donatore deve scrivere la sua tesi? Qui c’è materiale per almeno 10 laureandi!

La giornata finisce alle 21.30 con un sonno tiranno che mi ripresenta tutti i problemi del cantiere anche nei sogni!

DEBORAH RICCIU

ESPANDERE ORIZZONTI

bottom of page